Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm
di Sandro Magister
Fervono sotto traccia i preparativi del viaggio di papa Francesco in Terra Santa, in programma dal 24 al 26 maggio.
Quando mezzo secolo fa Paolo VI si recò a Gerusalemme – primo papa della storia –……. i luoghi santi della città erano quasi tutti entro i confini del regno di Giordania. E così gran parte della Giudea e la valle del Giordano. I cristiani erano numerosi e in alcune località come Betlemme erano in netta maggioranza. Nella mente di molti cattolici d’Occidente – come il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, oggi in corsa verso gli altari – brillava l’utopia di una vicina pace messianica che avrebbe affratellato cristiani, ebrei e arabi.
Su questo sfondo e in questo clima, il viaggio di Paolo VI fu un evento di risonanza grandiosa. Nella città vecchia di Gerusalemme la folla araba strinse il papa in un abbraccio fisico travolgente, a tratti sollevandolo da terra. E anche al suo ritorno a Roma una folla sterminata fece ala al papa che rientrava in Vaticano.
Oggi quel clima non c’è più. La geopolitica del Medio Oriente è completamente mutata. Non c’è pace tra israeliani e palestinesi. Il Libano è stato dilaniato da una guerra civile. La Siria è al collasso. L’Iraq è devastato. L’Egitto esplode. Milioni di profughi fuggono da una regione all’altra.
E i cristiani sono quelli più stretti nella morsa. Il loro esodo dai paesi mediorientali è incessante, non compensato dalla precaria immigrazione nei paesi ricchi del Golfo di manodopera proveniente dall’Asia.
Ha dichiarato in proposito il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin nella sua prima intervista a largo raggio dopo la sua nomina, ad “Avvenire” del 9 febbraio:
“La situazione dei cristiani in Medio Oriente è una delle grandi preoccupazioni della Santa Sede, sulla quale essa non cessa di sensibilizzare quanti hanno responsabilità politiche, perché ne va della pacifica convivenza in quella regione e nel mondo intero”.
Ed ha aggiunto, riferendosi alla presenza in Medio Oriente di cristiani appartenenti a diverse confessioni e implicitamente all’incontro che papa Francesco avrà a Gerusalemme con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, mezzo secolo dopo l’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora:
“Questo è pure un ambito di particolare rilevanza a livello ecumenico, dato che i cristiani possono cercare e trovare vie comuni per aiutare i fratelli nella fede che soffrono in varie parti del mondo”.
Ma quanti sono e chi sono i cristiani che abitano in Terra Santa e nelle regioni circostanti?
Nell’insieme essi sono oggi tra i 10 e i 13 milioni, a seconda delle stime, su una popolazione complessiva di 550 milioni di abitanti. Quindi circa il 2 per cento.
Ecco qui di seguito una loro mappa aggiornata, ripresa dal n. 22 del 2013 dalla rivista “Il Regno” dei dehoniani di Bologna, scritta da un esperto in materia.
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CHIESE ANTICHE E FRAGILI
di Giorgio Bernardelli
Quanti sono i cristiani del Medio Oriente? Quante e quali sono le loro Chiese? Per orientarci, il punto di riferimento sono i patriarcati del cristianesimo dei primi secoli, che oltre a Roma e Costantinopoli assegnavano un ruolo di primo piano anche ad Antiochia, Alessandria e Gerusalemme.
I COPTI
Guardando ai numeri di oggi non si può partire che dai cristiani dell’Egitto, gli eredi del patriarcato di Alessandria. E specificamente dalla Chiesa copta ortodossa, guidata dal papa Tawadros II, a cui fa riferimento più del 90 per cento dei cristiani dell’Egitto.
La si chiama copta ortodossa, ma va chiarito subito che non ha nulla a che vedere con l’ortodossia figlia dello scisma tra Roma e Costantinopoli. La genesi di una Chiesa autonoma egiziana affonda infatti le sue radici nel rifiuto del patriarca di Alessandria di partecipare al concilio di Calcedonia del 451, all’epoca delle dispute teologiche sulla natura di Gesù.
I copti sono oggi la comunità cristiana più numerosa in Medio Oriente. Ma quanti sono? Negli ultimi due censimenti del 1996 e del 2006 la domanda sulla religione di appartenenza in Egitto è stata omessa dai questionari, seguendo un’indicazione in tal senso proveniente dalle Nazioni Unite. Solo che questo ha alimentato due contabilità parallele.
Da una parte quella della Chiesa copta ortodossa, che basandosi sui suoi registri sostiene che i cristiani siano il 10 per cento della popolazione del paese, vale a dire tra gli 8 e i 9 milioni.
Dall’altra c’è la statistica ufficiale, che sostiene che siano molti di meno: nel 2012 l’Agenzia governativa parlava di non più di 5.130.000 cristiani. E anche una fonte indipendente come l’americano Pew Research Center stima addirittura in soli 4.290.000 i cristiani in Egitto, pari al 5,3 per cento della popolazione. Non è comunque detto che questi numeri della statistica ufficiale siano di per sé più accurati: bisogna tenere conto che l’Egitto non è solo il Cairo e – soprattutto per i distretti più periferici – gli stessi numeri sulla popolazione complessiva sono molto dubbi.
Va aggiunto che i numeri dei cristiani egiziani comprendono anche la Chiesa copta cattolica, di rito copto ma in comunione con Roma, guidata dal patriarca Ibrahim Isaac Sidrak, che conta circa 160.000 fedeli. E poi ci sono i cristiani egiziani di matrice evangelica, che si stimano intorno ai 250.000.
Se tante sono le incertezze sui copti in Egitto il discorso non può essere diverso per le stime sui cristiani egiziani che hanno lasciato il paese negli ultimi anni.
Di certo c’è che la comunità più folta della diaspora è quella degli Stati Uniti, dove circola il dato di 900.000 persone. Molto grandi anche le comunità in Canada (circa 200.000) e in Australia (75.000). Più piccole invece, fino a un paio di anni fa, risultavano le presenze copte nei paesi europei.
Tutto questo, però, al netto di quanti hanno lasciato il paese negli ultimi due anni. Su questo il Washington Institute for Near East Policy ha diffuso una stima che parla di 100.000 cristiani fuggiti dall’Egitto dopo la caduta di Mubarak. Dato però contestato dalla Chiesa coìpta ortodossa, che parla di poche decine di migliaia di persone, ma ha anche interesse a contenere il fenomeno.
I GRECO-ORTODOSSI
Sono gli eredi del patriarcato di Gerusalemme, che nell’antichità restò sempre nell’orbita di Costantinopoli. Ma sono anche uno dei diversi filoni nati dalla cattedra di Antiochia, il patriarcato dalla storia più travagliata.
Anche per questo motivo i greco-ortodossi in Medio Oriente si trovano tuttora sotto la giurisdizione di due patriarcati tra loro distinti: quello di Gerusalemme – guidato attualmente dal patriarca Teofilo III –, che conta circa 500.000 fedeli ed è la comunità cristiana più folta in Israele, in Palestina e in Giordania; e quello greco-ortodosso di Antiochia, che ha la sua sede a Damasco ed è guidato da pochi mesi dal patriarca Youhanna X Yazigi, fratello di uno dei due vescovi rapiti ad Aleppo.
A questo secondo patriarcato si stima facciano riferimento circa 2 milioni di fedeli, comprendendo però, oltre a quelle della Siria, le comunità ortodosse del Libano, della Turchia e dell’Iraq e soprattutto gli emigrati della diaspora, presenti in numeri molto significativi negli Stati Uniti, in America Latina, in Australia e nell’Europa occidentale.
Questa diaspora era cominciata già ben prima della tragedia che oggi la Siria sta vivendo, ma certamente la guerra la sta accentuando. Se nella primavera del 2011 si stimava che in Siria i greco-ortodossi fossero oltre 500.000, oggi a questo numero non si possono che affiancare tanti drammatici punti interrogativi. È eloquente un dato fornito dal patriarca melchita Gregorio III Laham, secondo cui su 1,5 milioni di cristiani siriani sono almeno 450.000 quelli che hanno dovuto lasciare le proprie case a causa della guerra.
I MELCHITI
Li abbiamo appena citati accanto ai greco-ortodossi del patriarcato d’Antiochia e non a caso. I melchiti nascono infatti da una scissione interna proprio a quella comunità, avvenuta quando nel 1724 il patriarca di Costantinopoli non riconobbe l’elezione alla cattedra greco-ortodossa di Antiochia di Cirillo VI, ritenuto troppo vicino all’Occidente. Cinque anni dopo questi tornò alla piena comunione con Roma mantenendo il rito bizantino.
Come i copti cattolici, dunque, anche i melchiti sono una Chiesa cattolica di rito orientale. Secondo le statistiche dell’Annuario pontificio oggi contano circa 1,6 milioni di fedeli. Di questi però solo 750.000 vivono ancora in Medio Oriente, dunque meno della metà; ed è impressionante constatare come un numero praticamente pari risieda attualmente in America Latina.
In Medio Oriente i melchiti sono presenti in diversi paesi: in Siria erano circa 235.000 (ma sul loro numero attuale vale lo stesso discorso fatto per i greco-ortodossi siriani), in Libano quasi 400.000, comunità più piccole sono presenti in Israele, in Palestina, in Giordania. Anche il patriarca melchita ha la sua sede a Damasco.
I SIRI
Quello bizantino non è però l’unico volto del cristianesimo figlio del patriarcato di Antiochia. Anche qui, infatti, un primo scisma si era consumato già ai tempi del concilio di Calcedonia e gli eredi di quella comunità costituiscono tuttora la Chiesa siro-ortodossa. Chiesa dalla grandissima tradizione missionaria nel primo millennio, testimoniata tuttora dal fatto che più di 5 milioni di siro-ortodossi vivono in India, contro il milione che risiede tra il Medio Oriente e il resto della diaspora.
Altra caratteristica significativa è il fatto che questa Chiesa ha conservato come sua lingua liturgica l’aramaico, la lingua parlata da Gesù. Dal 1980 la Chiesa sira è guidata dal patriarca Mar Zakka I, che ha la sua sede a Saydnaya nei pressi di Damasco, ma risiede a Beirut.
Esiste anche una Chiesa siro-cattolica dalla storia parallela a quella melchita, anche se la loro comunione con Roma risale a un secolo prima. I siro-cattolici in Medio Oriente sono attualmente 140.000 e vivono principalmente in Siria e in Iraq, guidati dal patriarca Ignazio III Younan.
I MARONITI
Sempre nell’alveo della tradizione siriaca vanno inseriti anche i maroniti, la Chiesa cattolica di rito orientale con il maggior numero di fedeli.
I maroniti sono il gruppo cristiano maggioritario in Libano. Sono eredi di comunità di rito siriaco che nel 451 aderirono al concilio di Calcedonia. In Libano, secondo i dati dell’ Annuario pontificio , sono poco meno di 1,6 milioni in un paese di 4 milioni di abitanti. E questo fa sì che il paese dei Cedri sia quello con la percentuale più alta di cristiani, intorno al 36 per cento.
Anche qui, però, va ricordato che soprattutto negli anni della guerra civile l’emigrazione ha colpito pesantemente. Oggi circa la metà dei 3,5 milioni di maroniti vive lontano dal Medio Oriente, con il gruppo più consistente, oltre 1,3 milioni, in America Latina.
La Chiesa maronita è guidata dal patriarca Bechara Rai, che è oggi l’unico patriarca a essere anche cardinale. Lo era anche il patriarca copto cattolico Antonio Naguib, che ha però dovuto rinunciare alla cattedra di Alessandria per gravi ragioni di salute.
I CALDEI
Un ulteriore filone del cristianesimo siriaco è quello della Chiesa assira, che oggi conta 400.000 fedeli tra l’Iraq e la diaspora e ha la sua sede a Chicago, dove vive anche il suo patriarca Mar Dinkha IV. Da essa traggono origine i caldei, il gruppo maggioritario tra i cristiani iracheni.
Anche quella caldea è una Chiesa cattolica di rito orientale, in comunione con Roma fin dal 1553. Ed è la comunità che soffre sulla sua pelle tutto il dramma del dopo Saddam Hussein. Prima della guerra i caldei in Iraq erano almeno un milione, oggi non ne restano che t300-400.000, concentrati soprattutto nell’area del Kurdistan iracheno. Un esodo spaventoso che rischia di riprendere dopo che negli ultimi mesi – complice anche la saldatura tra gli scontri settari a Baghdad e la guerra in Siria – il numero degli attentati nel paese è tornato a crescere.
L’attuale situazione ha portato il patriarca caldeo Raphael Sako a utilizzare recentemente toni molto forti contro la fuga dei cristiani, arrivando ad accusare alcuni paesi occidentali di fomentarla attraverso la concessione dei visti di ingresso agli iracheni.
GLI ARMENI
Storicamente rilevante per il Medio Oriente è anche la presenza dei cristiani di tradizione armena. Anche in questo caso si tratta di un’antica Chiesa orientale che non aderì al concilio di Calcedonia del 451.
Pur avendo il suo centro spirituale ad Echmiadzin – nell’attuale Armenia – la Chiesa apostolica armena ha due sedi importanti in Medio Oriente: il Catholicato di Cilicia, che ha giurisdizione sul Libano e sulla Siria ed è guidato dal catholicos Aram I, e il patriarcato armeno di Gerusalemme, sulla cui cattedra siede il patriarca Nourhan Manougian.
La comunità numericamente più consistente è in Libano dove gli armeni sono circa 150.000. Altri 100.000 erano presenti in Siria, soprattutto nell’area di Aleppo e Deir ez-Zor, destinazione finale delle lunghe marce forzate della persecuzione attuata dai Giovani Turchi. Armeni sono anche la grande maggioranza dei cristiani iraniani (80-100.000).
Anche in questo caso esiste pure una Chiesa di rito armeno in comunione con Roma: è quella guidata dal patriarca armeno di Cilicia Nerses Bedros XIX, con sede a Beirut. Questa comunità conta nel mondo circa 540.000 fedeli, di cui però meno di 60.000 vivono oggi in Medio Oriente.
I LATINI
In questo quadro così complesso come si colloca la Chiesa di rito latino, che ha il suo fulcro nel patriarcato di Gerusalemme guidato da Fouad Twal? La sua giurisdizione è su quelle comunità di Israele, della Palestina e della Giordania fiorite lungo i secoli intorno alla presenza in Medio Oriente degli ordini religiosi della Chiesa latina, francescani in primis, ma non solo.
Si tratta di una comunità piccola: al netto del fenomeno nuovo degli immigrati, la comunità latina conta attualmente in tutta la regione circa 235.000 fedeli, cioè appena il 7 per cento tra i cristiani in comunione con Roma.
È il gruppo che assieme ai greco-ortodossi e ai melchiti ha sofferto di più a causa dell’esodo dalla Terra Santa. I latini sono oggi appena 27.500 in Israele, 18.000 in Palestina, 50.000 in Giordania.
A livello generale in Palestina il numero dei cristiani a partire dal 2000 si è dimezzato, passando dal 2 all’1 per cento della popolazione. Più complesso il dato su Israele, dove l’ufficio centrale di statistica parla di 158.000 cristiani, stabili intorno al 2 per cento della popolazione; ma si tratta di un numero dai due volti, perché mentre in Galilea la comunità cristiana cresce secondo le normali dinamiche di una popolazione giovane, a Gerusalemme i cristiani sono rimasti appena 6.000 in una città che conta ormai 780.000 abitanti, mentre erano più del doppio nel 1967, quando Israele assunse il controllo dell’intera Gerusalemme e gli abitanti della città erano appena 260.000.
Ma il discorso sui latini resta incompleto se non si affronta anche il tema degli immigrati cristiani giunti in questi ultimi anni a centinaia di migliaia in Medio Oriente, spinti dalle nuove rotte del mercato del lavoro globale.
Si tratta di filippini, indiani, thailandesi, ma anche romeni o nigeriani. In Israele solo i filippini sono oltre 50.000, cioè praticamente il doppio degli arabi cristiani che frequentano le parrocchie di rito latino.
Ancora più macroscopico, poi, diventa questo fenomeno se si allarga lo sguardo alla Penisola Arabica, terra dove i cristiani fino a pochi anni fa praticamente non esistevano.
Grazie all’immigrazione, i cristianì sono oggi 1,2 milioni in Arabia Saudita (il 4,4 per cento in rapporto alla popolazione), 950.000 negli Emirati Arabi Uniti (12,6 per cento), 240.000 in Kuwait (8,8 per cento), 168.000 in Qatar (9,6 per cento) 120.000 in Oman (4,3 per cento), 88.000 in Bahrein (7 per cento).
Si tratta però di una presenza cristiana strutturalmente straniera, esposta alla provvisorietà e, per quanto riguarda i paesi del Golfo, sottoposta a pesanti restrizioni alla propria vita religiosa.
Infine va anche aggiunto che – pur essendo canonicamente sotto la giurisdizione dei vescovi latini dei due vicariati d’Arabia – tra i cristiani di questi paesi vi sono anche molti indiani appartenenti alle Chiese cattoliche siro-malabarese e siro-malankarese.
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A proposito della Siria, Parolin dice:
“Il primo round della conferenza di Ginevra 2, alla cui inaugurazione a Montreux ha partecipato anche la Santa Sede, si è concluso, purtroppo, senza risultati concreti, come ha dichiarato il mediatore Lakhdar Brahimi. Ciò nonostante, non hanno perduto di valore le indicazioni espresse dalla stessa Santa Sede come passi di una road map realistica per la fine del conflitto e la realizzazione di una pace duratura: la cessazione immediata della violenza, l’avvio della ricostruzione, il dialogo tra le comunità, i progressi nella risoluzione dei conflitti regionali e la partecipazione di tutti gli attori locali e globali al processo di pace di Ginevra 2. Il fatto che le due parti in lotta si siano parlate per la prima volta in tre anni è certamente un segnale positivo. Ma c’è bisogno che crescano la fiducia reciproca e la volontà politica di trovare una soluzione negoziata”.
Mentre per quanto riguarda le “primavere arabe” commenta:
“Fenomeno complesso quello delle primavere arabe, che, purtroppo, non ha raggiunto quegli obiettivi di maggior democrazia e giustizia sociale che sembravano esserne i motivi ispiratori. È lecito, tuttavia, chiedersi quanto a questo fallimento abbia contribuito, a livello di comunità internazionale, la ricerca di interessi economici e geo-politici particolari”.
E più in generale, sul ruolo geopolitico della Chiesa di Roma:
“Il papa stesso è il primo ‘agente’ diplomatico della Santa Sede. Siamo stati testimoni di come abbia assunto vigorosamente tale ruolo nella crisi in Siria. Per questo è diventato un interlocutore ricercato e autorevole a livello mondiale”.
Fonte:www.chiesa. Espressoline
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