Aggiornato il 03/05/18 at 04:30 pm
Rojda è una degli oltre 60mila siriani curdi ospiti nel campo profughi di Domiz. Mostra alle nostre telecamere il disegno di una giovane donna che piange: “Questa ragazza è triste – spiega – Ha perso tutto”……… “Ho visto cose che nessuno dovrebbe vedere – aggiunge Omar. Ho visto aerei da guerra, missili, mitragliatrici, carri armati. Non potete immaginare la paura”.
Sono i racconti di una generazione che ha vissuto la guerra: “Ero a scuola quando l’edificio è stato attaccato – racconta Rojda. Mia madre è venuta a prendermi per nascondermi dall’esercito siriano”.
“Ci eravamo abituati alla guerra – dice Omar: Ci addormentavamo anche sotto i tiri degli elicotteri”.
“Ho lasciato Damasco da sola – prosegue Rojda – i miei genitori e gran parte della mia famiglia all’inizio sono rimasti là. A volte questa distanza mi ha fatto stare male e mi sono chiesta perché non venivano da me. Doveva esserci una buona ragione. Questa ragione era la casa che avevamo impiegato anni per costruire”.
Hadya Hibrahim Hamko, la madre di Rojda spiega: “Abbiamo lavorato nove anni per mettere da parte i soldi per comprare la nostra casa a Damasco. Siamo stati in quella casa solo otto giorni. Poi l’area è stata bombardata e ce ne siamo dovuti andare”.
“Siamo a Domiz, il campo di rifugiati siriani più grande del Kurdistan iracheno e di tutto l’Iraq – dice l’inviata di Euronews nel Kurdistan iracheno, Monica Pinna – Qui vivono 60 mila persone. Circa la metà sono bambini. Omar e Rojda, come tutti gli altri portano i segni di una guerra che ha cambiato le loro vite e sono alla ricerca di una qualche normalità”.
Rojda e Omar sono arrivati nel campo con le rispettive famiglie circa sette mesi fa. Le violenze, la povertà e la paura li hanno spinti ad attraversare il confine con il Kurdistan iracheno. Entrambi hanno perso più di un anno di lezioni e non hanno trovato posto nelle tre scuole del campo già sovraffollate. Hanno però trovato uno spazio dove studiare e giocare: i due centri di accoglienza per giovani e per bambini aperti ad aprile dall’organizzazione non governativa francese Acted.
“Abbiamo strategie specifiche per i bambini vittime di traumi – spiega Ibrahim Khalil per ACTED. Ci basiamo sulla positività del bambino e su quella lavoriamo in modo da rederlo più forte e in grado di affrontare la vita qui nel campo e guardare al futuro”.
Omar, come molti altri bambini del centro, ha partecipato ad attività per valutare il tipo di trauma subito in seguito alle esperienze di guerra. Al centro, oggi, frequenta lezioni di ogni tipo e se necessario può essere seguito con attività terapeutiche.
“Questa è una lezione di curdo – dice Omar. Per me è molto importante perché è la mia lingua materna e in Siria era vietata”.
“Giochiamo, facciamo teatro, ci leggono dei racconti – aggiunge Rojda – Stiamo bene. È un modo per dimenticare. Per non pensare troppo”.
Questi due centri sono stati costruiti con i fondi del Nobel per la Pace, conferito l’anno scorso all’Unione Europea, nell’ambito dell’iniziativa EU Children of Peace, a sostegno dei bambini vittime dei conflitti. I centri erano stati realizzati per 250 bambini, ma ne ospitano oggi oltre mille alla settimana. A Domiz i bambini sono 30 mila.
“Penso che i bambini costretti a vivere nel campo a lungo non riusciranno a ritornare a una vita normale – sostiene Ibrahim Khalil di ACTED – Sebbene i bambini abbiamo un certo grado di resistenza, non basterà se continueranno a vivere in queste condizioni”.
Altre migliaia di bambini sono pronti ad attraversare la frontiera per sfuggire alla guerra in Siria. Ma oltreconfine, a Domiz, la sicurezza si trasforma in uno spazio senza tempo e senza opportunità.
euronews
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