Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm
Gli islamici non sfondano nel Kurdistan iracheno. Le elezioni legislative di sabato scorso hanno sostanzialmente confermato gli attuali equilibri politici in una regione strategica per le sue vaste…….. risorse petrolifere e di gas ma anche fondamentale per le sorti del governo centrale di Baghdad. Anche se i risultati ufficiali non sono stati ancora resi noti, da informazioni raccolte dal TMNews, gli elettori sembrano aver bocciato i partiti islamici e confermato la loro fiducia nel partito Democratico del Kurdistan (Pdk) che fa capo al presidente della regione Massud Barzani. Alta l’affluenza alle urne: hanno votato circa il 74% dei due milioni e 800 mila aventi diritto per scegliere tra 1.138 i candidati si sono presentati con 31 liste per spartirsi i 111 seggi del parlamento.
Stando a fonti governative vicine alla commissione elettorale, il Pdk del presidente Barzani ha ottenuto 42 seggi dell’Assemblea di Erbil: ovvero oltre il 37% delle preferenze. Il Movimento per il cambiamento di Nashirwan Mustafà che si è scisso dal Puk (Unione patriottica del Kurdistan) del presidente della repubblica irachena Jalal Talabani, da tempo malato, ha ottenuto 22 seggi al di sotto delle aspettative che lo davano intorno ai 30 seggi. Solo terzo, il Puk di Talabani con 18 seggi. Nelle passate elezioni Pdk e Puk avevano partecipato con una lista unica che aveva totalizzato 70 seggi.
Deludono i gruppi islamici, che tra Fratelli Musulmani e Salafiti, non superano la soglia di 20 deputati. Gli islamisti, che fanno tanto rumore nelle piazze, sono stati danneggiati dall’infortunio dei Fratelli Musulmani d’Egitto e dalla guerra dichiarata dalle milizie qaediste contro la minoranza curda in Siria. Guerra che ha costretto oltre 50 mila curdi siriani di rifugiarsi nel Kurdistan iracheno negli ultimi giorni. Ai rappresentanti della comunità turcomanna e quella cristiana sono andati 11 seggi, che è la quota riservata alle minoranze per legge.
Ufficialmente Pdk-Puk sono alleati strategici ed è molto probabile che rimangano tali. Se i risultati saranno confermati, il rapporto di forza all’interno della coalizione di governo non sarebbe più paritario, come ora, ma a favore del Pdk di Barzani. Pertanto il Puk, ridimensionato, sarà costretto a rinunciare alla presidenza del parlamento regionale ed anche ad alcuni ministeri.
Forte della sua posizione di partito di maggioranza relativa, il Pdk ora può scegliersi l’alleato di governo. Le prima mosse sono già cominciate già prima della pubblicazione dei risultati previste per domani: ieri, Fadil Merani, esponente del partito Democratico non ha escluso la formazione di un esecutivo con l’Unione patriottica, le minoranze cristiane e persino i partiti islamici. Una mossa che sarebbe, secondo fonti del Pdk, una carta per fare pressione sul vivace movimento dell’opposizione, il “Cambiamento”, per accettare le condizioni poste da Barzani, per intraprendere trattative con il leader del movimento guidato da Nashirwan.
Il movimento del Cambiamento ha presa sui giovani ed è in forte ascesa; è il primo partito a Suleimaniyah seconda più grande città del Kurdistan iracheno; inoltre il suo leader Nashirwan, di orientamento socialista, è ritenuto vicino al governo di Teheran. Ma Barzani, molto probabilmente, vuole coinvolgere il movimento d’opposizione nel governo per un’altra ragione molto importante per i curdi. Nella primavera del 2014 ci saranno le elezioni legislative irachene. In quell’occasione i partiti dovranno scegliere un nuovo presidente della Repubblica. Una intesa non scritta prevede che le tre massime cariche dello Stato devono essere suddivise così: il capo dello Stato curdo; il presidente del parlamento arabo sunnita e il capo del governo arabo sciita.
Prima di proporre a Baghdad il nome del proprio candidato, Erbil, deve cercare in parlamento regionale una maggioranza qualificata. Un governo che comprende anche il movimento dell’opposizione rende più agevole la scelta di Barzani su chi deve fare il presidente della Repubblica irachena. Un presidente curdo a Baghdad fa gioco alle ambizione “petrolifere” del governo autonomo di Erbil che vuole gestire in proprio l’esportazione delle risorse energetiche del Kurdistan.(TMNews)
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