Turchia. Imamoglu liberato, ma il paese sconta “l’autoritarismo competitivo”

Aggiornato il 25/03/25 at 06:49 pm

di Shorsh Surme –————Vi sono molte incognite che interessano la situazione politica curda, dopo la proposta di pace avanzata da Abdullah Ocalan del Pkk e il clamoroso arresto del sindaco di Istanbul Akram Imamoglu, solo oggi rilasciato e presentato come candidato alle presidenziali del 2028 per il Chp.
Ma qual è la strategia del presidente Recep Tayyp Erdogan, che oggi si è scagliato contro i manifestanti turchi? Come stanno affrontando la situazione l’Europa e gli Stati Uniti? Per rispondere va compresa la natura del regime attuale: in Turchia non c’è una democrazia liberale, e neppure c’è una dittatura totalitaristica. Semplicemente la Turchia dell’era Erdogan è governata dal principio dell’autoritarismo competitivo, ovvero un regime che consente partiti politici, elezioni e conflitti civili, ma dietro le quinte la maggior parte del potere è nelle mani delle autorità. In questo regime ci sono la magistratura, le leggi di partito e gli ambiti politici, enormi istituzioni mediatiche, ma tutto questo è controllato o diretto in qualche modo, proprio come nella Russia di Putin e nel Venezuela di Maduro.
Sul piano politico la Turchia politica è divisa in tre aree decisive: la destra, la sinistra e il centro. L’area intermedia, rappresentata dal nazionalismo islamico, è espressa da Giustizia e Sviluppo (Akp). Il Mhp ha dominato il fronte verticale. La sinistra è divisa in due partiti principali: il Chp turco e il Pkk curdo, questo ritenuto essere un’organizzazione terroristica. Vi sono poi molti altri gruppi, ma per una rapida comprensione sono questi gli attori principali.
L’anno scorso, senza il voto e il sostegno dei curdi, Akram Imamoglu non avrebbe potuto vincere la carica di sindaco di Istanbul, sottraendola al candidato di Erdogan. I curdi in Turchia hanno pagato un prezzo elevato per questo sostegno e il Chp non è riuscito a ripagare questo debito.
Il processo di pace tra Ocalan ed Erdogan è già iniziato, e si prevede che in futuro farà ulteriori progressi. In una situazione del genere i curdi si trovano ad affrontare una dura prova e le loro opzioni sono difficili. Se appoggiassero il Mhp, ci sarebbe la possibilità di una brusca conclusione del processo di pace, ma se non appoggiassero Imamoglu la questione della democrazia, che è diventata il fulcro della lotta del Pkk, sarebbe ulteriormente messa a repentaglio. Entrambe le opzioni sono pericolose per i curdi.
Dopo gli eventi recenti in Medio Oriente ci sono stati due principali vincitori: Israele e Turchia. L’enorme vuoto lasciato dall’Iran, dalle milizie, dal regime di Bashar al-Assad e, in una certa misura, dalla Russia è stato ora colmato dalla Turchia. Il desiderio dei paesi europei di creare una forza militare forte, organizzata e incisiva contro la Russia, in risposta al volere degli Stati Uniti di Trump di ritirarsi dalla NATO, fa sì che gli europei abbiano troppo bisogno della Turchia, per cui non fanno nulla per infastidire Recep Tayyip Erdogan.
A livello statunitense l’ultima questione a cui Donald Trump deve pensare è la democrazia, l’apertura e i diritti umani. Quindi nessuno, a parte i dittatori, scommetterà più sugli Usa di Donald Trump.
In una situazione del genere Imamoglu si ritrova solo come Hussein nel deserto di Karbala. E non può che scommettere su un movimento di protesta interno. Senza la radicalizzazione di questo movimento, sia qualitativa che quantitativa, sarà molto difficile per Imamoglu e il Chp cambiare la direzione degli eventi.
Intanto in Turchia sono un migliaio gli arresti di questi giorni tra coloro che hanno manifestato per la liberazione di Akram Imamoglu, segno tangibile dell’autoritarismo di Erdogan.