Siria. Al-Julani, tra l’euforia degli occidentali e il paese pronto a esplodere

Aggiornato il 10/12/24 at 06:12 pm

di Enrico Oliari e Shorsh Surme –………..C’è un ritrovato amore da parte dell’occidente per i jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, i quali nella narrativa mediatica hanno liberato la Siria dal dittatore Bashar al-Assad per consegnare il paese alla libertà e alla democrazia, con tanto di enfatizzazione del fenomeno del rientro di massa dei milioni di profughi fuggiti nei paesi vicini, soprattutto in Turchia. I paesi europei hanno addirittura sospeso le richieste di asilo politico presentate dai siriani, quasi volessero significare che la “normalizzazione” della Siria è già iniziata, siglata in modo definitivo con la fuga del presidente siriano in Russia.
L’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Geir Pedersen, ha fatto sapere di essere convinto che la comunità internazionale “riconsidererà” la classificazione di Hayat Tahrir al-Sham come organizzazione terroristica di matrice qaedista, tanto che il leader Abu Mohamed al-Julani, ex membro dell’Isis e poi di al-Qaeda, viene oggi fatto passare dalla stampa occidentale come l’homo novus che ha sconfitto in un solo colpo la dittatura dinastica degli al-Assad ma soprattutto la Russia, che aveva in Siria una delle sue zone di influenza.
Al-Julani ha già assegnato al fedelissimo Mohammed al-Bashir il ruolo di primo ministro, e questi ha annunciato lo scioglimento dei temibili servizi di sicurezza e ordinato la chiusura delle carceri speciali, dove migliaia di oppositori sono stati barbaramente segregati, torturati e uccisi. E’ stato inoltre ribadito che verranno rispettate le minoranze etniche e religiose, come pure, come piace sentire agli occidentali, che “le donne non saranno costrette a indossare il velo”.
Gli analisti più attenti sanno tuttavia che è un errore abbandonarsi all’euforia. Innanzitutto perché il rientro in blocco di milioni di profughi rappresenta una catastrofe umanitaria annunciata, dal momento che dopo 14 anni di guerra le città sono distrutte, i sistemi produttivi sono pressoché inesistenti e mancano i beni di prima necessità in diverse aree del paese. Poi perché il tessuto sociale siriano è un composito di etnie e di confessioni come nessun altro paese, e non a caso Pedersen ha avvertito che “se non ci sarà un coinvolgimento più ampio dei gruppi etnici e dei partiti siriani, vi sarà la possibilità che scoppino ulteriori conflitti”, per cui “devono essere messi in atto accordi transitori affidabili, che comprendano tutti, a Damasco”. E infine perché la storia, anche recente, insegna che la rimozione repentina dei dittatori, vedi Muammar Gheddafi e Saddam Hussein, ha fatto precipitare i paesi nel caos e nella violenza. Già della situazione ne hanno approfittato gli israeliani, che hanno invaso la Siria attraverso il Golan portandosi fin sotto Damasco.
Il rischio, tutt’altro che secondario, è quindi che la Siria stia per esplodere: oltre alla moltitudine di gruppi religiosi ed etnici, tutti rigorosamente armati compresi i curdi e i cristiano-siriaci, vi sono anche i fedelissimi dell’ancien régime in fase di riorganizzazione, gli sciiti (alawiti) e persino sacche dell’Isis nell’est del paese. La stessa armada jihadista è una costellazione di sigle e sottosigle più o meno radicali, tenute insieme dal difficilissimo equilibrio del nemico in comune, che ora non c’è più. Al momento solo i qatarini sono riusciti ad aprire un canale con Hayat Tahrir al-Sham e con il premier nominato Mohammed al-Bashir. Per ‘lAfp, che ha riportato dichiarazioni di un funzionario coperto dall’anonimato, i “contatti tra l’HTS e i diplomatici del Qatar dovrebbero continuare nelle prossime 24 ore, con al-Bashir”.