Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm
In Turchia il diritto alla libertà d’espressione è sotto attacco. Lo testimoniano le centinaia di procedimenti giudiziari a carico di attivisti, giornalisti, scrittori e avvocati, “colpevoli” di aver criticato l’operato di rappresentanti dello stato o di aver espresso legittimamente le loro idee su questioni politiche considerate sensibili……. La denuncia nei confronti del governo di Ankara è contenuta in un rapporto diffuso ieri mattina da Amnesty International, in cui l’organizzazione per i diritti umani espone una dettagliata analisi dei peggiori 10 articoli di legge tra quelli che pregiudicano il diritto alla libertà d’espressione in Turchia.
Otto articoli fanno parte del codice penale del 2005: 301 (“denigrazione della nazione turca”), 318 (“allontanamento del pubblico dal servizio militare”), 125 (“diffamazione”), 215 (“apologia di un crimine o di un criminale”), 220/6 (“commissione di un crimine in nome di un’organizzazione terrorista”), 220/7 (“assistenza a organizzazione terrorista”), 216 (incitamento all’odio o all’ostilità”) e 314 (“appartenenza a organizzazione terrorista”). Gli altri due sono contenuti nellaLegge antiterrorismo del 1991: il 6/2 (“stampa o pubblicazione di dichiarazioni o affermazioni di organizzazioni terroriste”), già oggetto di una sentenza della Corte europea dei diritti umani, e il 7/2 (“propaganda terrorista”).
Il parlamento turco sta attualmente esaminando un pacchetto di riforme legislative, ma la sensazione di Amnesty International è che alla fine resterà un’opportunità persa per allineare le leggi nazionali agli standard internazionali sui diritti umani e per togliere le catene alla libertà d’espressione nel paese. Neanche questa riforma, infatti, tende a risolvere il problema di fondo: la definizione di cosa s’intenda per “terrorismo” nel codice penale e nella Legge antiterrorismo.
Negli ultimi anni, sottolinea Amnesty International, si è assistito sempre più spesso al ricorso arbitrario alle norme antiterrorismo per criminalizzare attività del tutto legittime, come discorsi politici, scritti di contenuto critico, partecipazione a manifestazioni e militanza in organizzazioni e gruppi politici riconosciuti. Dibattiti pacifici sui diritti dei curdi e su altre questioni politiche a loro legate, così come i temi e gli slogan al centro delle manifestazioni in favore dei curdi, sono stati all’origine di numerosi procedimenti giudiziari per “propaganda terrorista”.
Per fare un esempio, nel 2008 l’allora ministro della Giustizia Mehmed Ali Sahin rese noto che più di 7000 persone erano state incriminate per aver parlato di Abdullah Ocalan, il leader in carcere del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) attribuendogli il titolo onorifico di sayın (equivalente al nostro “signor”).
Ecco una selezione di storie, contenute nel rapporto di Amnesty International, in cui l’applicazione di uno o più di uno di quei 10 articoli ha causato violazioni dei diritti umani.
Temel Demirer è stato incriminato per aver affermato che Hrant Dink, giornalista e difensore dei diritti umani, era stato assassinato in quanto armeno e per aver denunciato il ruolo avuto dallo stato nell’omicidio.Halil Savda è stato condannato più volte per aver “allontanato il pubblico dal servizio militare”, ovvero per aver difeso pubblicamente il diritto all’obiezione di coscienza, che in Turchia – unico caso in Europa – non è riconosciuto per legge.
Selçuk Kozağaçlı, avvocato, è stato processato nel febbraio 2010 per aver cercato di ottenere giustizia per i detenuti morti nel 2000, quando l’esercito fece irruzione in 20 prigioni per porre fine a un lungo sciopero della fame. Nel 2013, è stato nuovamente processato per appartenenza a un gruppo fuorilegge di estrema sinistra, il Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo. Alla fine di febbraio, era ancora in detenzione preventiva.
Fazil Say, pianista di fama internazionale, è stato incriminato nell’aprile 2012 per alcun tweet in cui prendeva in giro esponenti religiosi e la concezione islamica del paradiso. Il 15 aprile è prevista la terza udienza del processo.
Due giornalisti investigativi, Ahmed Şık e Nedim Şener sono sotto inchiesta per aver dato “sostegno consapevole e volontario a un’organizzazione terrorista”. Sono sospettati di aver preso le parti di Ergenekon, un gruppo criminale accusato di aver tentato di prendere il potere con la violenza. Le prove nei confronti di Şık si basano soprattutto sul suo libro “L’esercito dell’imam”, che denuncia l’esistenza di un gruppo trasversale, interno alle istituzioni e presente nella società civile, composto da sostenitori dello studioso islamico in esilio Fetullah Gülen, un sostenitore del Partito per la giustizia e lo sviluppo, che guida il governo. Le prove contro Şener consistono in alcuni suoi scritti e nelle intercettazioni di telefonate con imputati del processo Ergenekon, i cui contenuti non riguardavano attività criminali.
Nel 2009 Vedat Kurşun, proprietario e direttore di Azadiya Welat, unico quotidiano in lingua curda, è stato condannato in primo grado a 166 anni e mezzo per “aver commesso un reato per conto di un’organizzazione terrorista” e per “propaganda terrorista”. In secondo grado è stato assolto per il primo reato mentre la condanna per il secondo è stata ridotta a 10 anni e mezzo.
Sultani Acıbuca, 62 anni, (al centro della foto) esponente di un gruppo di madri i cui figli sono morti o sono in carcere per fatti relativi al conflitto tra l’esercito turco e il Pkk, è stata condannata a 10 mesi di carcere per appartenenza a gruppo terrorista, per il solo fatto di aver invocato la pace e aver chiesto la fine degli scontri armati.
“Una società in cui le persone possano liberamente esprimere le loro opinioni, dibattendo sulle questioni più importanti all’ordine del giorno senza timore di essere incriminate, è una società in buona salute ed è ciò di cui la Turchia ha bisogno” – si legge nel rapporto di Amnesty International.
“Una riforma profonda delle leggi che rimuova le catene alla libertà d’espressione, associazione e assemblea porterà aria pulita nel paese e sarà un passo avanti essenziale verso una Turchia pacifica e democratica”.
I tempi sarebbero maturi per quella riforma profonda. Significherebbe voltare pagina rispetto a decenni di violazioni dei diritti umani e cogliere la contemporanea opportunità scaturita dal cessate il fuoco annunciato da Abdullah Ocalan la settimana scorsa
Fonte:Agora Vox
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