Aggiornato il 03/05/18 at 04:33 pm
Ieri a Istanbul è iniziato il più grande processo nella storia della Turchia contro dei giornalisti: coinvolge 44 persone di nazionalità turca, per lo più di origine curda, e 36 di loro si trovano in carcere dallo scorso…… dicembre. I 44 giornalisti sono accusati di “terrorismo” per presunti legami con l’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) che il governo di Recep Tayyip Erdogan considera il braccio politico del PKK, il gruppo armato che rivendica la creazione di uno stato indipendente del Kurdistan e che viene considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Secondo gli avvocati difensori, però, le prove dell’accusa sono legate soprattutto all’attività giornalistica di racconto, in particolare, della crisi curda. I 44 giornalisti rischiano da 7 anni e mezzo a 22 anni e mezzo di carcere.
Il governo ha ribadito che nessuno dei giornalisti sotto processo era stato arrestato per il suo lavoro ma a causa di reati di terrorismo. Tuttavia, nell’atto di accusa di 800 pagine, è compreso il reato di “denigrare lo stato”, previsto dalle leggi turche, che può comprendere anche la partecipazione a una semplice manifestazione o la pubblicazione di un articolo sgradito alle autorità. Tale reato (la cui estensione è dunque molto variabile) è stato per esempio contestato a un giornalista che ha denunciato delle molestie sessuali sul luogo di lavoro e che coinvolgevano la Turkish Airlines, la compagnia aerea di bandiera. Özlem Agus, reporter di un giornale vicino alla causa curda, è sotto processo per aver denunciato abusi sessuali su dei minori all’interno di un carcere. Altri giornalisti sotto processo sono autori di interviste con Selahattin Demirtas, leader del partito filo-curdo della Pace e della Democrazia (BDP).
Secondo Andrew Gardner, di Amnesty International, «questa azione penale mostrerebbe come in Turchia la scrittura critica, il discorso politico e la partecipazione a manifestazioni pacifiche possano essere utilizzate come prove di reati per terrorismo». E Arne Koenig, presidente della Federazione Europea dei Giornalisti, ha denunciato «un vergognoso tentativo di ridurre al silenzio la stampa in Turchia approfittando della cosiddetta guerra al terrore». Bülent Arinç, braccio destro del primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha replicato invece che «chi sostiene che in Turchia non c’è libertà di stampa o viene applicata la censura è un bugiardo». In un recente discorso, il ministro degli Interni Idris Naim Sahin ha affermato però che non vi è alcuna differenza tra «i proiettili sparati nel sud-est della Turchia (nelle regioni curde) e gli articoli scritti ad Ankara».
Il governo ha ribadito che nessuno dei giornalisti sotto processo era stato arrestato per il suo lavoro ma a causa di reati di terrorismo. Tuttavia, nell’atto di accusa di 800 pagine, è compreso il reato di “denigrare lo stato”, previsto dalle leggi turche, che può comprendere anche la partecipazione a una semplice manifestazione o la pubblicazione di un articolo sgradito alle autorità. Tale reato (la cui estensione è dunque molto variabile) è stato per esempio contestato a un giornalista che ha denunciato delle molestie sessuali sul luogo di lavoro e che coinvolgevano la Turkish Airlines, la compagnia aerea di bandiera. Özlem Agus, reporter di un giornale vicino alla causa curda, è sotto processo per aver denunciato abusi sessuali su dei minori all’interno di un carcere. Altri giornalisti sotto processo sono autori di interviste con Selahattin Demirtas, leader del partito filo-curdo della Pace e della Democrazia (BDP).
Secondo Andrew Gardner, di Amnesty International, «questa azione penale mostrerebbe come in Turchia la scrittura critica, il discorso politico e la partecipazione a manifestazioni pacifiche possano essere utilizzate come prove di reati per terrorismo». E Arne Koenig, presidente della Federazione Europea dei Giornalisti, ha denunciato «un vergognoso tentativo di ridurre al silenzio la stampa in Turchia approfittando della cosiddetta guerra al terrore». Bülent Arinç, braccio destro del primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha replicato invece che «chi sostiene che in Turchia non c’è libertà di stampa o viene applicata la censura è un bugiardo». In un recente discorso, il ministro degli Interni Idris Naim Sahin ha affermato però che non vi è alcuna differenza tra «i proiettili sparati nel sud-est della Turchia (nelle regioni curde) e gli articoli scritti ad Ankara».
Amnesty International, nel mese di ottobre, ha scritto una relazione sulla situazione della libertà di stampa in Turchia: circa 100 giornalisti sono tuttora in carcere (più che in Iran o in Cina), e molti di loro lavorano per organi di stampa curdi. Moltissimi altri sono stati licenziati o hanno dovuto lasciare il lavoro a causa delle pressioni esercitate dal governo turco. A partire dal 2009 la repressione contro i curdi ha portato all’arresto di circa 8mila politici, avvocati, accademici, scrittori e giornalisti con l’accusa di terrorismo: 700 di loro, negli ultimi 14 mesi, sono morti in circostanze poco chiare.
Lascia un commento