Aggiornato il 27/01/23 at 02:31 pm
di Shorsh Surme –A distanza di 32 anni dal genocidio di al-Anfal (in Italiano “il Bottino”), ancora oggi migliaia di famiglie curde nel Kurdistan dell’Iraq vivono con la speranza di riabbracciare i loro cari, che sono stati portati via dal regime sanguinario di Saddam Hussein attraverso una vasta operazione chiamata al-Anfal: al-Anfal era il nome di una serie di operazioni militari, otto in tutto, condotte in sei aree geografiche distinte compiute dal 14 aprile alla fine di settembre 1988.
Il comando delle operazioni era nelle mani dell’Ufficio per il Nord (cioè il Kurdistan) del Partito Baath, che aveva la sua base la città di Kirkuk e che era guidato da Ali Hassan al-Majid, il cugino di Saddam Hussein conosciuto con il nome di “Ali il Chimico” per il suo uso di armi chimiche contro le città ed i villaggi curdi.
Il fine generico della campagna era quello di eliminare non solo la resistenza curda ma anche sterminare con qualsiasi mezzo necessario la popolazione stessa.
Analizzando in dettaglio gli obiettivi di quella campagna troviamo che uno di essi era la pulizia etnica. Inizialmente fu riservata a quegli uomini tra i 12 ed i 80 anni che venivano considerati sabotatori. Furono in realtà le esecuzioni di massa nei villaggi a dettare l’inizio di una tragica e tristissima campagna di genocidio che si materializzò nei dieci anni successivi.
Le operazioni militari dell’al-Anfal furono svolte da truppe regolari della Prima e della Quinta Armata, rinforzata da unità di polizia politica e altri battaglioni speciali. La Guardia Repubblicana prese parte alle operazioni nella prima parte della campagna. Ma fu quando Alì il Chimico arrivò a dirigerla che la campagna militare si trasformò in genocidio.
Secondo i racconti di qualche sopravvissuto e di un ufficiale iracheno (poi passato ai curdi), agli inviati di Human Rights Watch Alì il Chimico raccontò di una riunione nella primavera del 1987 a cui erano presenti i governatori arabi di Erbil, Kirkuk, Dohuk e Suleimaniyeh (le quattro principali città curde del kurdistan dell’Iraq), comandanti della Prima e della Quinta Armata e le figure più importanti del partito Baath.
In quell’occasione Alì il Chimico ordinò che “nessuna casa rimanesse in piedi nei villaggi curdi della provincia di Erbil”. Ma fu ad un successivo incontro nella stessa Erbil che Alì il Chimico fu sentito minacciare la corte marziale per chi avesse trasgredito ai suoi ordini.
Lo stesso ufficiale racconta che “Presi due (carri militari di fabbricazione della Germania Orientale) pieni di esplosivo da un deposito a Erbil. Requisii 200 bulldozer ai civili di Erbil e cominciammo a distruggere i villaggi fatti con il fango con i bulldozer e a far saltare con la dinamite le strutture in cemento. Le truppe entravano all’alba; i pozzi venivano coperti e l’elettricità tagliata. Dopo che il lavoro ingegneristico fu terminato, Alì controllava con l’elicottero. Se qualche tipo di struttura era rimasta in piedi, al comandante di quella sezione veniva ordinato di tornare a finire il lavoro”.
In caso di resistenza attiva l’esercito avrebbe dovuto aprire il fuoco; se la resistenza fosse continuata, l’intero villaggio sarebbe stato messo a ferro e a fuoco e la popolazione uccisa. L’evacuazione dei villaggi comportava l’esecuzione immediata per chi si fosse rifiutato di andarsene.
Per chi accettava di partire la destinazione erano spesso le riserve nel sud del paese in cui i curdi erano costretti a vivere da prigionieri. Chi partiva veniva spesso separato dalle proprie famiglie, uomini da un lato, donne e bambini dall’altro.
Durante l’operazione al-Anfal, sono stati distrutti 1.200 villaggi e a tutt’oggi mancano all’appello 180.000 persone (donne, bambini, anziani e perfino persone disabili).
Molti dei sopravvissuti all’operazione al-Anfal stanno affrontando una realtà terribile, quella di essere sicuri che i loro figli, fratelli o sorelle sono stati oggetto di una campagna di sterminio di massa, che assomiglia nella sua brutalità il massacro nazista.
La gente non è tornata: la verità è nascosta nelle sabbie nei deserti dell’Iraq. Finora sono state trovate molte fosse comuni, non ultima quella al confine con l’Arabia Saudita che conteneva 2700 corpi, tutti vestiti in abiti tradizionali curdi.
L’organizzazione Human Rights nel suo rapporto annuale ha definito la campagna di al-Anfal un vero è proprio genocidio contro il popolo curdo. Sottolineando che lo sterminio al-Anfal ha ricevuto relativamente poca attenzione all’estero.