Aggiornato il 29/03/22 at 08:20 pm
di ADRIANO SOFRI (per FOGLIO)——- Kyiv vista da Erbil. Nella notte fra sabato e domenica i pasdaran iraniani hanno mosso un passo nel conflitto spedendo 12 missili balistici sul capoluogo della regione del Kurdistan iracheno. Cosa c’entrano queste mosse con l’antico contenzioso sul diritto curdo a commerciare il proprio gas.
La guerra d’Ucraina è un piatto ricco per molti. Nella notte fra sabato e domenica i pasdaran iraniani ci si sono ficcati spedendo 12 missili balistici sul capoluogo della regione del Kurdistan iracheno, Erbil. I lanci sono partiti dalle città iraniane di Tabriz, capoluogo dell’Azerbaijan orientale, e di Kermanshah, capoluogo della provincia omonima, quest’ultima peraltro popolata in maggioranza da curdi. Per intenderci, fra Kermanshah ed Erbil la distanza in linea d’aria è inferiore a 350 chilometri. Gli autori dei lanci, che non hanno fatto morti, due feriti – è stato centrato un taxi – e hanno distrutto alcune abitazioni, li hanno rivendicati sostenendo di aver voluto colpire una “base sionista”. Nonostante un’assuefazione ancora recente, domenica tanta gente di Erbil se ne è restata chiusa in casa.
Si è detto che l’attacco mirasse alla nuova vastissima sede del consolato americano in costruzione da tempo, ma la distanza dei bersagli sembra smentirlo. Per un verso, l’Iran ammonisce la metà filoturca e filoamericana della regione, alla lunghissima vigilia – dallo scorso ottobre – di decisioni parlamentari per la presidenza della Repubblica e la formazione del nuovo governo. Ma si può leggere nell’attacco dei pasdaran un’attualità più stretta. Il Kurdistan iracheno è un colossale giacimento di gas, ancora più che di petrolio, esportato attraverso la Turchia. Il gas brucia da solo a Chamchamal, la cittadina a est di Kirkuk, reputata per i suoi briganti e la versatilità del suo commercio al minuto, missili aria-aria compresi. Il gas curdo ha ora moltiplicato il suo pregio strategico per l’Europa ostaggio del gas russo. Ad Antalya il presidente curdo di Erbil, Nechirvan Barzani, aveva appena discusso del problema coi partner turchi. E ben quattro missili sono caduti, più precisamente, sulla dimora di campagna di Baz Karim Barzinji, il capo del Kar Group, la compagnia curdo-irachena del gas e del petrolio, dietro la quale si dice che stia lo stesso Nechirvan.
Regione del Kurdistan e stato iracheno hanno un antico contenzioso sul diritto curdo a commerciare il proprio gas. Nel 2007 c’era stato un accordo sulla reciproca autonomia in attesa di una legge che regolasse la materia. Dal 2012 giaceva presso la Corte federale una denuncia, che proprio un mese fa è stata resuscitata da una sentenza non ricorribile del Tribunale federale di Baghdad, evidentemente ispirata da Teheran. La sentenza ordina che la commercializzazione di gas e petrolio passi attraverso il governo centrale: sarebbe un disastro per Erbil e altrettanto per la Turchia, che conta sullo sbocco al Mediterraneo del gas curdo-iracheno come su un cespite decisivo per la sua agonia economica, e che vede insidiata la sua influenza dal predominio già consolidato dell’Iran su Iraq e Siria. Per ora tutto è sospeso, coi curdi che invocano ancora la legge statale.
Ieri il primo ministro iracheno, Khadimi, era in visita a Erbil, e Nechirvan Barzani a Baghdad. La rielezione del curdo di Suleimanya, Barham Salih, alla presidenza della Repubblica, premessa alla formazione del nuovo governo, è rimessa in forse. Il governatore di Najaf, la città santa della Shia (la sede di al Sistani visitata da Papa Francesco), tradizionalmente legato ad al Maliki, l’ex premier fedele all’Iran, stava passando ad al Sadr in cambio della grazia per un suo figlio, condannato per traffico di eroina. Barham era stato convinto dal premier Khadimi a firmare, ma ne è scoppiato un ennesimo scandalo.
All’Ucraina da Erbil si guarda con simpatia, tanto più che nel mondo arabo l’appoggio alla Russia è largo, e a Bassora si raccolgono ufficialmente i volontari in Ucraina dalla parte russa. A Erbil c’è stata una manifestazione di una decina di cittadini ucraini: saranno in tutto un centinaio, operai per lo più. L’andamento delle cose ucraine conferma nei curdi lo scetticismo sul sostegno americano, dopo il referendum tradito per l’indipendenza del 2017, dopo l’Afghanistan. La distanza è troppa per rendere assillante la minaccia dell’atomica; in cambio si commenta che anche l’Europa impara che cos’è la guerra. Qualcuno, i più maligni, si chiede se il terrore islamista, l’Isis, si sia frettolosamente messo in ferie.