Aggiornato il 07/12/21 at 08:56 pm
Sicurezza Internazionale —- Quattro soldati Peshmerga e un civile sono stati uccisi a seguito di un attacco terroristico perpetrato dallo Stato Islamico nei pressi del villaggio di Qara Salem, nel Nord dell’Iraq. Altri 6 individui risultano essere rimasti feriti.
Secondo quanto riferito dalle forze di sicurezza locali, l’attentato è stato condotto domenica 5 dicembre, a due giorni di distanza da un altro attacco che ha provocato la morte di almeno 12 persone, tra Peshmerga e civili del Kurdistan iracheno. Circa l’ultimo episodio, il Ministero degli Affari relativi ai Peshmerga ha dichiarato che militanti jihadisti hanno colpito la postazione della 126esima brigata delle forze Peshmerga, ma non ha fornito particolari dettagli. Fonti locali hanno aggiunto che all’attacco hanno fatto seguito scontri, che si sono conclusi con il ritiro dei terroristi dall’area. È stato un colonnello di tali forze locali a precisare che combattenti dell’ISIS continuano a condurre attacchi “mordi e fuggi” notturni, evitando di sostare a lungo nei territori presi di mira. Da parte loro, le forze Peshmerga hanno inviato ulteriori rinforzi nella regione, al fine di prevenire nuovi attacchi. Anche unità dell’apparato di sicurezza iracheno sarebbero state mobilitate per supportare i Peshmerga, secondo quanto riferito da fonti militari di Baghdad.
A tal proposito, il 4 dicembre, il Joint Operations Command ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con il Ministero dei Peshmerga per condurre operazioni di qualità su ampia scala nelle aree caratterizzate da lacune in termini di sicurezza, a causa delle divergenze tra il governo federale iracheno e il governo regionale del Kurdistan. Inoltre, sono stati aperti centri di coordinamento congiunto a Diyala, Kirkuk, Makhmour e Ninive Ovest, oltre a due centri principali a Baghdad ed Erbil, mentre sono state concordate misure volte a potenziare la collaborazione in termini di intelligence e di operazioni aeree e terrestri, volte a contrastare la minaccia terroristica. Era stato il medesimo Joint Operations Command ad affermare, il 3 dicembre, che l’ISIS prova a dare prova della sua esistenza, ma le forze di sicurezza irachene e Peshmerga, a loro volta, sono determinate a vendicare l’uccisione dei propri martiri e a contrastare l’organizzazione terroristica nelle aree di mutuo interesse.
Tale dichiarazione è giunta dopo il violento episodio della notte tra il 2 e il 3 dicembre, data in cui l’ISIS ha colpito la città di Makhmour e, nello specifico, i villaggi di Liheban e Khidirjija, nell’area di Qarachogh, a sua volta situata nella provincia di Erbil. Un cittadino locale, in condizioni di anonimato, ha riferito che i militanti jihadisti hanno colpito un’abitazione con lanciatori RPG, provocando morti e feriti. Parallelamente, Sirwan Barzani, comandante Peshmerga a Makhmour, ha dichiarato che le proprie forze hanno subito un attacco dello Stato Islamico, a cui hanno risposto. Sebbene in un primo momento fosse stata già riportata l’uccisione di 3 civili, membri di una stessa famiglia, il 3 dicembre le forze curde hanno riferito che il bilancio delle vittime è salito a quota 12. Stando a quanto specificato, membri Peshmerga sono stati uccisi a seguito dell’esplosione di un ordigno piantato da militanti jihadisti, mentre le forze locali si stavano dirigendo verso uno dei luoghi colpiti. Due giorni dopo l’attentato, il 5 dicembre, fonti della sicurezza locali hanno affermato che i combattenti dell’ISIS hanno preso il controllo del villaggio di Liheban. Tuttavia, non vi è stata alcuna conferma ufficiale da parte delle autorità irachene.
Dopo l’episodio del 3 dicembre, anche il premier uscente, Mustafa al-Kadhimi, ha messo in luce la necessità di non sottovalutare la perdurante minaccia rappresentata da cellule terroristiche tuttora attive in Iraq, e ha affermato che l’attacco perpetrato a Qarachogh non rimarrà impunito. Nonostante il 9 dicembre 2017 il governo di Baghdad abbia annunciato la vittoria sull’ISIS, l’Iraq non può dirsi al riparo dalla minaccia terroristica. Come dichiarato dal premier al-Kadhimi, il 26 gennaio scorso, il terrorismo è ritornato a minacciare il Paese probabilmente con l’obiettivo di minare il percorso verso la democrazia. Diyala, Salah al-Din e Kirkuk sono le tre regioni incluse nel cosiddetto “Triangolo della morte”, dove cellule dello Stato Islamico risultano essere ancora particolarmente attive.
Si tratta di aree contese tra i governi di Erbil e Baghdad, le cui dispute territoriali hanno indebolito l’apparato di sicurezza. Leader e politici curdi hanno richiesto più volte la partecipazione delle forze peshmerga nell’apparato di sicurezza centrale, da cui le forze curde sono state espulse nel 2017, a seguito del referendum sulla secessione della regione del Kurdistan in Iraq. Ciò ha provocato continue controversie, mentre non è stato mai del tutto chiaro chi dovesse occuparsi della sicurezza della regione, consentendo all’ISIS di far leva sulla precaria stabilità per condurre le proprie operazioni. Anche a Diyala la mancanza di una “leadership unificata” rende l’intera regione sempre più instabile. A tal proposito, alcuni hanno evidenziato che le Forze di Mobilitazione Popolare sembrano agire su propria iniziativa, senza seguire le indicazioni delle forze di sicurezza irachene, alimentando ulteriormente una situazione di caos.
Il Global Terrorism Index 2020 colloca l’Iraq alla seconda posizione, dopo l’Afghanistan, tra i 163 Paesi maggiormente colpiti dalla minaccia terroristica, sebbene nel Paese, nel corso del 2019, sia stata registrata una diminuzione del 46% nel numero di vittime provocate dal terrorismo. Parallelamente, come segnalato dai “Country Reports on Terrorism 2019”, l’Iraq rappresenta un membro fondamentale della coalizione internazionale anti-ISIS e partecipa a tutti i diversi gruppi di lavoro ad essa legati, tra cui Foreign Terrorist Fighters, Counter-ISIS Finance Group, Stabilization, and Communications. A detta del medesimo report, la campagna condotta dall’ISIS mira a ristabilire il cosiddetto califfato, un obiettivo che viene perseguito facendo leva sul sostegno delle popolazioni di Ninive, Kirkuk, Diyala, Salah al-Din e Anbar.