Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm
di Federica Di Leonardo
I ricercatori stanno conducendo la prima indagine archeologica americana all’interno dell’Iraq negli ultimi 20 anni per cercare le tracce dell’ambiente che ha ospitato la nascita delle prime forme di urbanizzazione da parte dell’uomo. Tre ricercatori della National Science Foundation, di recente hanno intrapreso la prima indagine archeologica non irachena del delta del Tigri e dell’Eufrate in quasi 20 anni. Gli archeologi Jennifer Pournelle e Carrie Hritz, con il geologo Jennifer Smith, hanno effettuato lo studio alla fine dello scorso anno per cercare i collegamenti tra le risorse delle zone umide e l’emergere delle città della Mesopotamia.
“Mesopotamia” – dal greco “terra tra i fiumi” – è una zona di circa 450 km di lunghezza e 200 km di larghezza a cavallo dei fiumi Tigri ed Eufrate che attraversano l’Iraq, il nord-est della Siria, la Turchia sud-orientale e il sud-ovest dell’Iran. E’ considerata la culla della civiltà, poiché le società urbane si sono per la prima volta sviluppate proprio qui circa 6 mila anni fa.
Alessandro Magno conquistò la Mesopotamia nel 332 aC.
“Questo è un progetto importante perché ha il potenziale per gettare nuova luce sui processi seguiti dalla prima civiltà urbana”, ha dichiarato John Yellen, un direttore del programma dell’NSF americano per la ricerca archeologica.
I ricercatori hanno proposto il progetto per sondare come le aree costiere del Golfo e le paludi abbiano contribuito alla fondazione economica delle città mesopotamiche. In particolare, hanno voluto analizzare i siti archeologici dal 5.000 a.C. fino al tempo dell’Islam per saperne di più su come le risorse delle zone umide abbiano contribuito alla costituzione delle città e dei paesi locali durante la prima metà dell’Olocene.
“Il nostro interesse riguarda i primi insediamenti”, ha detto Hritz, assistente professore di antropologia archeologica della Penn State. “Il primo periodo di insediamento è sempre legato allo sviluppo dell’agricoltura”.
Uno spazio di grande interesse per i ricercatori sono state le paludi di Hammar, che si trovano a sud del fiume Eufrate in Iraq e in Iran, e che sono state drenate tra il 1950 e il 1990, in parte, per facilitare la ricerca del petrolio e lo sviluppo. Ma dopo la prima guerra del Golfo, l’ex presidente iracheno Saddam Hussein ha deviato il fiume Eufrate lontano dalla zona, facendo scomparire le paludi quasi del tutto, ma al tempo stesso rendendole più accessibili per gli studi archeologici.
Le indagini archeologiche si interruppero agli inizi degli anni ’90, mentre gli iracheni proseguirono solo con ricerche limitate. “Ma poiché il loro lavoro è non è stato pubblicato, non siamo sicuri delle aree su cui hanno lavorato”, ha detto Hritz.
“Una cosa che ci ha davvero sorpresi è stata la condizione della superficie del letto secco del lago Hammar. Ci aspettavamo che fosse notevolmente seccato dal vento, come le zone desertiche limose di altri importanti siti che abbiamo visitato”, ha detto Pournelle. “Invece, è stato ‘sigillato’ sotto uno strato di limo solido e conchiglie rendendo impossibile l’accesso sotto la superficie senza scavare”.
“Mi ha sorpreso che le caratteristiche a volte chiare sulle immagini fossero praticamente indistinguibili da terra, ha aggiunto Smith.”E’ estremamente importante utilizzare sia il telerilevamento che le verifica sul campo in queste regioni incredibilmente piatte”.
Il ripristino delle paludi di Hammar è oggi una priorità nazionale in Iraq, in quanto il danno ecologico e per l’economia agricola della regione provocato dalla deviazione del fiume è stato immenso e, se si attende oltre, forse irreparabile. Ma questo significa poco tempo per svolgere le ricerche archeologiche nella zona, che potrebbe tornare ad essere una zona umida.
“L’Iraq ha una ricchezza di siti archeologici e ha una lunga storia di ricerca,” ha detto Yellen. “Speriamo che questo progetto possa contribuire a rinvigorire questa tradizione.”
“Abbiamo visto tutto quello che volevamo vedere, ad eccezione di una zona che è stata inondata”, ha detto Hritz. “E non avevamo l’equipaggiamento adatto per entrare nell’area allagata.”
I ricercatori sperano di condurre ulteriori studi in Iraq.
“I prossimi passi saranno uno studio sismologico, carotaggi e indagini al fine di mettere in relazione gli scavi archeologici passati e futuri per registrare dei dati paleocimatici”, ha detto Pournelle. “Sorprendentemente, questo non è mai stato fatto. Abbiamo bisogno di lavorare velocemente sulle operazioni a terra, perché su alcune di queste zone sono previste nuove inondazioni”.
Fonte: GaiaNews.it
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