Un nuovo asse mediterraneo?

Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm


L’Opinione di Antonio Cocco
NATURALMENTE VICINI Volendo verificare quali siano le compatibilità fra l’Italia e la Turchia, in termini di politica estera e di difesa e in termini economici e geostrategici, non si dovrebbe far altro che guardare una cartina geografica: con un fugace colpo d’occhio ci si renderebbe conto delle ottime possibilità di approfondire una partnership fra due importanti attori della fascia europea meridionale. Notevoli sono le affinità fra i due paesi. Innanzitutto dal punto di vista geografico entrambi godono di una invidiabile posizione strategica che li rende allo stesso tempo impegnati in diverse aree geopolitiche.
Secondo il Ministro degli esteri turco, Ahmet Davutoglu, la Turchia ha una dimensione mediterranea, balcanica, centroasiatica, caucasica, si affaccia sul Mar Nero, e la vicinanza con la sponda meridionale del bacino mediterraneo le consente di avere una proiezione africana. Parafrasando Davutoglu, si può affermare che anche l’Italia non può essere ricondotta ad una sola dimensione geopolitica: essa è mediterranea, africana Lampedusa, ad esempio, è molto più vicina alle coste tunisine che a quelle siciliane, europea, sia nel senso di Europa occidentale e centrale con il nord Italia che costituisce un cuneo nel cuore stesso dell’Europa, in particolare attraverso il Brennero e gli altri passi alpini ma è anche esteuropea con le potenzialità attrattive di una città come Trieste nei confronti dell’Europa orientale, e infine balcanica, estendendosi come un arco che irradia i Balcani e che si estende dal Friuli alla Puglia.
LA POLITICA ESTERA TURCA Chiunque voglia analizzare la politica estera turca di questi anni deve essere conscio del fatto che si tratti non già della politica estera turca, ma della politica estera dell’AKP, il partito al governo dal 2001, ed in particolare del suo ideologo e attuale Ministro degli esteri, Ahmet Davutoglu. Questa precisazione appare necessaria in quanto la politica estera turca del terzo millennio appare completamente rivoluzionata rispetto al passato. Rimangono alcuni tradizionali pilastri, come la partecipazione della Turchia alla NATO e l’importanza attribuita all’Europa ma, sia nello stile che nel contenuto, la nuova politica estera turca appare più decisa, sicura di sé e in ultima analisi spregiudicata.
Mentre nel cinquantennio precedente la politica estera turca è stata esercitata con un’ottica prettamente tesa a salvaguardare la sicurezza, frutto dell’approccio tipicamente militare delle élites al governo, con la vittoria dell’AKP, interprete degli interessi e dei bisogni della classe media e della cosiddetta borghesia religiosa, essa si è trasformata in un agile ed efficace strumento economico al fine di aprire nuovi mercati alle imprese turche e politico al fine di raggiungere una posizione di media potenza nello scacchiere mediorientale.
La politica estera turca può essere riassunta in alcuni capisaldi, definiti dallo stesso Ministro Davutoglu in alcuni scritti:
Bilanciamento fra sicurezza e democrazia. Al riguardo Davutoglu spiega come la sicurezza non possa essere implementata a discapito della democrazia e dei diritti umani. Inoltre egli è convinto che senza tale equilibrio non si possa costituire un area di influenza turca nella regione, in quanto “Turkey’s most important soft power is its democracy”.
La politica del “zero problem” con gli altri paesi della regione è il secondo caposaldo. Ciò sottintende che la Turchia ricerchi la soluzione dei problemi che affliggono i suoi rapporti con i vicini.
Lo sviluppo di relazioni politiche ed economiche attuando una “proactive and preemptive peace diplomacy” così da garantire pace e prosperità alla regione e garantire quell’area di influenza citata nel primo punto.
Una concezione multipolare delle relazioni internazionali.
Una continuità dello sforzo diplomatico “rhythmic diplomacy” teso a garantire la partecipazione della Turchia al maggior numero possibile di organizzazioni internazionali. La Turchia, ad esempio, ha acquisito il ruolo di osservatore nell’Unione Africana e partecipa alle riunioni della Lega Araba.
COMPATIBILITA’ CON ROMA Riguardo le compatibilità fra le politiche estere dei due paesi si possono distinguere due piani: il piano dell’approccio e delle compatibilità fra diverse visioni delle relazioni internazionali, e il piano degli interessi strategici, politici ed economici. Riguardo il primo punto, entrambi i paesi enfatizzano la preferenza per una politica estera basata sul soft power e un approccio orientato ad un maggior multilateralismo delle relazioni internazionali. In quest’ottica tale comunanza rispecchia il peso politico e strategico di due medie potenze che mirano ad ampliare il loro ruolo internazionale valorizzando il loro potenziale economico, ed una comune visione dei rapporti internazionali che le affranchi dalla totale accondiscendenza verso le politiche statunitensi . La Turchia in parte lo ha già fatto e lo sta facendo, come testimoniano i rapporti con Russia, Siria, Iran, Israele, Kurdistan iracheno. Riguardo il piano degli interessi, si possono identificare diversi ambiti. Da un punto di vista economico, le economie di Italia e Turchia hanno una buona complementarietà: l’Italia è il quarto partner economico della Turchia, con circa 700 imprese italiane che operano in territorio turco. L’economia italiana ha interesse a delocalizzare alcune produzioni ormai fuori mercato in altri paesi nei quali i costi di produzione sono notevolmente inferiori. La Turchia, con un estensione territoriale che è quasi tre volte quella tedesca, e una popolazione di 67 milioni di persone si candida quale mercato di produzione per tali prodotti e di consumo per beni ad alto valore aggiunto prodotti in Italia.
Da un punto di vista economico e strategico, la Turchia rappresenta per l’Italia un importante corridoio per l’approvvigionamento energetico di idrocarburi dal Caucaso e dall’Asia Centrale, dove l’ENI ha ottenuto numerosi e importanti permessi di sfruttamento. Il progetto South Stream, con la costruzione di un gasdotto che attraverso il Caucaso e il Mar Nero, permetta di rifornire i mercati italiano ed europeo con il gas russo e kazako, aggirando il territorio ucraino, risponde in parte a queste necessità.
Riguardo gli aspetti strategici della partnership italoturca, è necessario sottolineare come l’Italia veda nella Turchia un prezioso alleato per la risoluzione dell’annoso conflitto israelopalestinese, anche dopo il congelamento dei rapporti politici fra Ankara e Israele in seguito all’operazione “Piombo Fuso”, con il bombardamento israeliano di Gaza, e l’incidente sulla Mavi Marmara, che è costato la vita ad otto cittadini turchi.
Il contenzioso sul nucleare iraniano rappresenta un ulteriore campo di collaborazione a livello internazionale fra Turchia ed Italia. Italia e Turchia sono due importanti partner economici dell’Iran, anche se entrambi si mostrano apertamente contrari all’acquisizione di un potenziale nucleare militare da parte dell’Iran. Entrambi i paesi nutrono profonde perplessità rispetto all’ipotesi di un attacco militare per distruggere i centri di arricchimento dell’uranio situati in territorio iraniano, anche se sono consci della pericolosità per gli equilibri regionali e globali che un Iran dotato di armamento nucleare rappresenterebbe. In un’ottica europea l’Italia appoggia l’ingresso di Ankara nell’Unione Europea, in particolare per controbilanciare l’asse francotedesco e riposizionare l’asse politico europeo dall’Europa centrale all’Europa mediterranea. Infine, Italia e Turchia condividono lo stesso obiettivo riguardo la ristrutturazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, essendo apertamente contrarie alla proposta avanzata da Germania, Giappone, Brasile ed India, che mira ad attribuire dei seggi permanenti per questi paesi. Al contrario Italia e Turchia, che hanno costituito una minoranza di blocco che si è resa capace di impedire l’adozione di questo piano da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, portano avanti la proposta di costituire nuovi seggi non permanenti, assegnati su base regionale, così da assicurare una maggiore democraticità e rappresentatività alle decisioni del Consiglio di Sicurezza.

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