Aggiornato il 03/05/18 at 04:36 pm
Ironia della sorte. No, una strategia politica consolidata, che non conosce confini. Abbiamo visto in questi due giorni Mubarak scatenare i sostenitori del regime contro il popolo che manifestava in piazza Tahrir a Il Cairo, come due anni fa il Presidente iraniano Amadhinejad e l’Ayatollah Ali Khamanei scatenavano le milizie dei basji contro il movimento verde che chiedeva nello stesso modo democrazia e libertà nelle strade di Teheran.
Abbiamo cominciato a sentire i soliti discorsi: l’ingerenza di potenze straniere negli affari egiziani, le accuse di complotto, la caccia e l’arresto dei giornalisti stranieri che documentano in questi giorni quanto sta accadendo le piazze e nelle strade egiziane. La televisione di regime ha mostrato per altro solo le immagini delle manifestazioni a favore del rais egiziano.
Nello stesso tempo, oggi l’Ayatollah Ali Khamenei, il leader supremo iraniano, ha lanciato da Teheran il suo anatame con il quale ha benedetto ipocritamente le sollevazioni in Egitto e la Tunisia quali “movimenti di liberazione islamici”, che traggono la loro ispirazione dalla rivoluzione iraniana del 1979, come si può leggere in un articolo pubblicato da Al Jaazera.
Mentre in Iran, un popolo piegato è piegato da un regime altrettanto poliziesco – se non di più – mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è concentrata su quanto accade nei paesi del Nord Africa, il regime di Teheran approfitta della distrazione dei media per portare avanti il programma di esecuzioni capitali più massiccio da un pò di anni a questa parte. Novantasette esecuzioni nel giro di un mese, la maggior parte dopo processi per reati comuni – in particolare l’uso e lo spaccio di sostanze stupefacenti – in mezzo alle quali alcune sono state eseguite nei confronti di prigionieri politici.
E’ il caso di Farhad Tarom, giustiziato nel carcere a Oroumieh il 27 gennaio perchè riconosciuto colpevole di appartenere al Partito Democratico del Kurdistan e per il quale le autorità iraniane si sono rifiutate di restituire la salma a conoscenti e familiari affinchè gli potesse essere data una degna sepoltura.
La stessa sorte è toccata qualche giorno prima, il 24 gennaio 2011, a Jafar Kazemi e Mohammad Ali Haj Aghaie, accusati di Moharebeh (guerra contro Dio) e di complicita con il MKO, Mojahedin-e-Khalq Organization (i Mujahedin del popolo), uno dei più vecchi partiti laici di opposizione in Iran, prima contro lo Scià, ed in seguito, contro il regime degli Ayatollah.
La moglie di Jafar Kazemi, Roudabeh Akbari, ha raccontato che, quando si è recata nel carcere di Evin per fare visita a suo marito, è stata avvertita che suo marito era stato giustiziato. “L’hanno giustiziato senza informare nè noi nè il suo avvocato”. Aveva incontrato la moglie la settimana prima e gli avevo comunicato che l’ avevano cercata per un intervista televisiva.” (sul suo caso, conosciuto dalle organizzazioni per i diritti civili internazionali, si era mossa anche il Segretario di Stato americano Hilary Clinton che aveva lanciato un appello alle autorità iraniane, NdR). “Le autorità gli avevano fatto sapere che se ci fosse stata un intervista, avrebbero eseguito la sentenza in meno di una settimana, e lui mi aveva pregato di non darla”, aggiunge la moglie “Lo avevano portato sul patibolo, gli avevano passato il cappio intorno al collo, e poi lo avevano riportato in cella”.
Lo hanno impiccato alle ore 4.00. Le esecuzioni si svolgono la mattina presto. Non avevano nessuna prova, solo un paio di fotografie e un video con i quali, partecipato alle manifestazioni per denunciare i brogli elettorali, aveva documentato gli scontri. Secondo le leggi vigenti, la punizione prevista per propaganda contro il regime è sei anni di carcere, non la pena di morte. Ma è stato accusato di essere stato uno degli organizzatori delle massicce proteste che avevano avuto luogo il 29 dicembre 2009, durante il giorno dell’Ashura e nei giorni precedenti al 11 febbraio 2010, giorno in cui il regime festeggia la Rivoluzione iraniana.
Anche Mohammad Ali Haj-Aghaei è stato giustiziato per le stesse accuse. “Era un bravissimo insegnante di matematica, un uomo comune come se ne possono vedere tanti nelle strade, nei negozi, nelle scuole. Una persona disarmata”, così ricorda la moglie di Kazemi l’uomo che ha condiviso lo stesso destino di suo marito. La sua unica colpa: un figlio la cui presenza è stata segnalata a Camp Ashraf, un campo in Iraq nel quale hanno trovato rifugio molti militanti del MKO, nei decenni passati.
Roudabeh Akbari ha voluto dedicare a suo marito e a Mohammad Ali Haj-Aghaei questa canzone, molto popolare in Iran, che aveva ascoltato qualche anno prima a Toronto – insieme a suo marito – attraverso la voce di Mohammad Reza Shajarian.
Morgh’e Sahar
Uccello del mattino, lutto
Uccello del mattino, lutto
Rinnovo ancora il mio dolore
*
Con un sospiro di pioggia di fuoco
Rompo questa gabbia e la rovescio
*
Volo di Usignolo,
da una gabbia di pino canta i canti di libertà dell’umanità
*
Dal respiro delle masse
riempie la terra aperta con il fuoco
*
Oppressione, l’oppressore
il cacciatore di oppressione
*
Ha lasciato il nido
assottigliato dal vento
*
Dio, universo, natura
trasforma il buio della sera nell’alba
*
E’ una novità una primavera
i fiori sono sbocciati
*
Le nuvole nei miei occhi
sono piene di rugiada
*
Questa gabbia, come il mio cuore,
è soffocata e scura
*
Oh, sospiro di fuoco!
Accendi una fiamma in questa gabbia
*
Mano della natura,
non accorciare troppo il fiore della mia vita
*
Guardate il mio fiore, cari giovani
Cantate più forte
*
Tu uccello senza cuore
sia breve! sia breve
la storia della tua separazione
Fonte:Virgilio
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