Aggiornato il 03/05/18 at 04:39 pm
di Shorsh Surme
Da tre giorni i nazionalisti turchi stanno attaccando le sedi del partito curdo Hdp (Partito democratico del popolo), protagonista della clamorosa vittoria del 7 giugno che lo ha portato a superare la soglia del 10% e ad entrare di conseguenza in parlamento: sono già… 126 le sedi del partito vandalizzate da gruppi di nazionalisti non solo nel capitale Ankara, ma anche a Istanbul, nelle province di Manavgat, Antalya, Mersin, Sakarya, Çorlu e Kayseri.
Il disegno che in non pochi vi vedono è quello di dirottare il voto nazionalista verso l’Akp di Recep Tayyp Erdogan, dopo che questi ha sostanzialmente perso le elezioni pur rimanendo al primo posto con il 40,8%. Il mancato raggiungimento della maggioranza ha provocato una situazione di stallo per cui il premier incaricato Ahmet Davutoglu non è riuscito a formare il governo e sono state convocate nuove elezioni per il primo novembre.
Dalle parti dell’Akp (Adalet ve Kalkinma Partisi) si dà come probabile il mantenimento del 12,9% del curdo Selahattin Demirtas, per cui viene ad essere necessario cercare il voto laddove c’è. Gli altri due partiti che hanno superato la soglia del 10% prevista per entrare in parlamento sono il Partito repubblicano del Popolo (Cumhuriyet Halk Partisi, Chp, 25,1%) e il nazionalista Mhp (Milliyetçi Hareket Partisi, 16,4%), i quali si sono rifiutati di entrare in maggioranza: appurata l’impossibilità di stringere alleanze, l’Akp di Erdogan ha intensificato la dialettica nazionalista nel tentativo di guadagnare voti e quindi di riacquistare da solo la maggioranza dei seggi, oppure di porsi in una situazione forte al punto da obbligare una formazione indebolita a scendere a patti. Sulle spalle del presidente turco pesano l’evidente appoggio dato al Daesh (basti pensare alle migliaia di foreign fighter e alle armi transitati per la Turchia, ai jihadisti curati negli ospedali pubblici turchi e al petrolio che dallo Stato Islamico è arrivato in Turchia), come pure gli scandali di corruzione che hanno interessato personaggi legati a lui e persino parenti.
L’ondata di nazionalismo che sta investendo la Turchia non si è manifestata, tuttavia, semplicemente nella retorica o nelle 126 sedi dell’Hdp vandalizzate, bensì nella rottura della tregua con il Pkk, per cui non passa giorno senza che vi siano morti da una parte o dall’altra. E’ successo in sintesi che dopo l’attentato di Suruc del 20 luglio, portato a termine dal Daesh e costato la vita a 32 giovani curdi e turchi, Erdogan abbia deciso di bombardare il Pkk e non il Daesh, come ci si aspettava.
Invano gli esponenti del partito curdo continuano a chiedere la pace e il ritorno al dialogo tra i due popoli, quello turco e quello curdo, compresa la riapertura del dialogo con il Pkk e con il leader Abdullah Öcalan, in carcere da sedici anni sull’isola di Imrali.
Si è quindi tornati agli anni Novanta, quando i generali usavano la guerra al terrorismo come pretesto per mantener e il potere e il loro ruolo.
In realtà la maggior parte dei turchi sono stanchi di una retorica tutta improntata sulla lotta al terrorismo, per cui più si spara meglio è. Dal Kurdistan turco continuano ad arrivare notizie drammatiche, con la popolazione civile costretta al coprifuoco, ai molti posti di blocco, alla chiusura delle telecomunicazioni e del confine con il Kurdistan iracheno. La zona è off limits anche ai giornalisti stranieri e sabato scorso è stata arrestata una giornalista olandese residente a Diyarbakir, capitale del Kurdistan della Turchia, per aver preso le difese della popolazione curda. Stessa sorte per due giornalisti britannici, poi rilasciati.
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