
Aggiornato il 14/04/25 at 07:07 pm
d Hussamattin Turan —————- Tra il 1986 e il 1989, l’Operazione Anfal condotta dal regime baathista nel Kurdistan iracheno è passata alla storia come una delle campagne di pulizia etnica e genocidio più estese dell’epoca moderna. Su ordine del leader iracheno Saddam Hussein, il regime autoritario plasmato dall’ideologia socialista baathista ha orchestrato, sotto il nome di Anfal, il massacro sistematico di circa 182.000 curdi, strumentalizzando anche riferimenti religiosi.
L’operazione includeva, oltre ai massacri, la distruzione di oltre 5.000 villaggi curdi e lo sfollamento forzato di intere popolazioni, rappresentando una strategia di annientamento su vasta scala.
Il nome “Anfal” è tratto dall’ottava sura del Corano, che tratta del bottino di guerra, dell’obbligo di obbedienza dei credenti e della fiducia in Dio durante il combattimento. Il regime di Saddam ha distorto questo significato, trasformando la sura in un editto bellico politico. Funzionari statali e religiosi iracheni interpretarono questa parte del Corano per giustificare l’uccisione di oppositori del regime — in particolare le minoranze etniche come i curdi — dichiarandoli “apostati” o “ribelli”. Un simile uso strumentale della religione dimostra chiaramente come i regimi teocratici e totalitari possano legittimare la violenza politica attraverso il discorso religioso.
La Corte Penale Internazionale ha definito l’Operazione Anfal un genocidio, sottolineando che si tratta di un crimine contro l’umanità. Il rapporto Genocide in Iraq: The Anfal Campaign Against the Kurds redatto da Human Rights Watch documenta che l’Anfal non fu una semplice operazione militare, bensì un terrorismo di Stato organizzato con l’intento di pulizia etnica.
Secondo il rapporto, la maggior parte delle vittime erano civili, donne e bambini, il che dimostra che l’operazione mirava a colpire un intero popolo. Inoltre, i documenti delle Nazioni Unite attestano l’uso di armi chimiche, gli sfollamenti forzati e la creazione di fosse comuni durante l’operazione.
Questo tragico evento rappresenta non solo una ferita profonda nella memoria storica del popolo curdo, ma anche una lezione per il mondo intero su come i regimi politici possano legittimare il genocidio attraverso pretesti religiosi. I curdi, spesso speranzosi di solidarietà attraverso il discorso della fratellanza musulmana, sono stati abbandonati, diventando bersaglio sia del nazionalismo arabo che dei movimenti islamici politici. Questo rivela come, nel mondo islamico, le identità etniche e le rivendicazioni di diritti siano frequentemente represse sotto il velo dell’“ummah”.
L’operazione Anfal rientra sia nella categoria del genocidio sia in quella dei crimini contro l’umanità secondo il diritto internazionale. Questo massacro, che segna profondamente la memoria collettiva dei curdi, rappresenta la concretizzazione di una violenza etnocentrica rivestita di retorica religiosa. Tali traumi storici devono essere affrontati non solo attraverso commemorazioni, ma anche tramite strumenti giuridici internazionali e pratiche di memoria collettiva.