Memoria collettiva sui Turchi

Aggiornato il 06/04/25 at 11:25 am

di Necat ZANYAR———– Il detto turco “Il cavallo muore e il campo resta, l’eroe muore e la fama resta” esprime l’idea che tutti, in un modo o nell’altro, lasciano un’immagine dietro di sé.
I turchi, che sono entrati in scena nell’ultimo millennio della storia umana conosciuta, che risale a circa diecimila anni, oggi non svolgono un ruolo dominante nel mondo, ma nel corso dei secoli si sono costruiti un’immagine duratura. Questo aspetto non sfugge agli studiosi di antropologia ed etnografia.
Le fonti più importanti che permettono di individuare l’immagine dei turchi nel mondo sono i proverbi e i detti popolari. I proverbi sono brevi espressioni che condensano le esperienze accumulate da una società nel corso dei secoli.
I proverbi rappresentano dati scientifici di grande valore per analizzare psicologicamente e sociologicamente una società, per comprendere la struttura del pensiero, la storia e i valori sociali di una lingua e di un popolo.
Essendo una parte importante del patrimonio culturale, i proverbi non esprimono necessariamente verità assolute. Per questo motivo, è utile valutarli con uno sguardo critico.
Gli odierni turchi affermano di avere un passato glorioso e di aver governato le terre che hanno conquistato per secoli con giustizia e fratellanza.
In pochi popoli si trova un tale senso di superiorità e orgoglio come tra i turchi. La convinzione di essere un popolo eletto e di avere il diritto di dominare il mondo è senza dubbio il risultato di una propaganda alimentata attraverso la scuola, i media e il cinema. Questa mentalità allontana i turchi dall’amore per l’umanità, dalla democrazia, dall’uguaglianza, dalla produzione, dal senso di solidarietà e dalla consapevolezza dei valori universali, portandoli a sviluppare una coscienza chiusa e narcisistica.
Ma i turchi si sono davvero radicati nella memoria dei popoli del mondo come una nazione gloriosa che ha governato con giustizia e fratellanza?
In modo piuttosto interessante, tutti i popoli, dagli orientali agli occidentali, dai settentrionali ai meridionali, dai musulmani ai non musulmani, dagli autoctoni agli stranieri, hanno un’immagine inconscia negativa dei turchi.
È vero che quasi tutti i popoli hanno proverbi e detti con espressioni negative sugli altri popoli. Tuttavia, non si trova un’altra nazione su cui esista una memoria collettiva così diffusa e negativa come nel caso dei turchi. Questo è un aspetto molto significativo e degno di riflessione.
Alcuni turchi interpretano questa immagine nei proverbi come ostilità, mentre altri vedono nell’aver seminato paura nel mondo un motivo di orgoglio.
Ad ogni modo, il riconoscimento delle peculiarità di ciascun popolo è parte di un ordine divino. Nel libro sacro dell’Islam, il Corano, si afferma:
“O uomini! In verità, vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina e vi abbiamo fatti popoli e tribù affinché vi conosceste a vicenda.” (Surat al-Hujurat, 13)
La geografia, le esperienze storiche e le interazioni vissute determinano le caratteristiche distintive di ogni nazione. In questo senso, ogni popolo ha un proprio carattere unico. Conoscere e riconoscere significa prendere coscienza di questa personalità e identità nazionale. È come conoscere il fuoco, l’acqua, il ferro e la terra.
Sapere non significa conoscere. Tutti nel mondo sanno dell’esistenza di Parigi, ma pochissimi la conoscono veramente. Lo stesso vale per la conoscenza delle nazioni.
Curdi e turchi vivono fianco a fianco da mille anni e sono consapevoli l’uno dell’altro. Tuttavia, quanto realmente si conoscano è incerto.
Un proverbio curdo dice: “Abbiamo trascorso la vita cercando di conoscerci.” Se è così difficile conoscere se stessi, quanto è possibile comprendere completamente qualcun altro? E se quest’altro è un popolo strappato dalla sua terra d’origine, che per secoli ha vissuto come nomade a cavallo, che ha perso gran parte dei suoi membri naturali in guerre e che ha assimilato le popolazioni sotto il suo dominio, la questione diventa ancora più complessa.
Da questo punto di vista, da almeno alcuni secoli non abbiamo davanti un “turco naturale”, ma un’immagine della turchicità. E coloro che rientrano in questa immagine vengono chiamati “turchi”.
Il sistema di devşirme (reclutamento forzato di bambini non turchi) nell’Impero Ottomano si è trasformato, nel processo che ha portato alla fondazione della Repubblica, in una rielaborazione della turcicità attraverso popoli assimilati. Lo slogan “Ne mutlu Türk’üm diyene” (Felice chi si dice turco) è diventato il principio fondamentale della Repubblica proprio per questo motivo. Perché ormai non esiste più una sociologia basata sul “turco che è”, ma sul “turco che si dichiara tale”. Un territorio di 783.000 km² è stato trasformato in una fabbrica di produzione in serie di questa nuova identità.
Questa turcicità si basa sull’immagine del turco forgiata dalla cultura predatoria dell’Asia centrale, si considera superiore a tutti, si appropria della storia, della mitologia, delle leggende, della letteratura popolare e della musica di altri popoli. Non si accontenta di questo, ma attribuisce a sé anche le figure storiche delle nazioni soggette al suo dominio. Impone se stesso e nega le identità degli altri, forzandone la turchizzazione. Questo genera conflitti interminabili.
Dato che oggi non è più possibile costruire una nuova Grande Muraglia Cinese, comprendere la situazione in cui ci troviamo non è un lusso, ma una necessità.
I proverbi sono la chiave per comprendere e analizzare la memoria collettiva. Esaminare questa memoria nel modo più obiettivo possibile ci permetterà di ottenere un’immagine accurata. Questo è di grande importanza sia per i turchi, sia per coloro che sono stati turchizzati, sia per coloro che interagiscono con i turchi. Dopotutto, tutti si chiedono cosa pensano gli altri di loro.
Cominciamo dunque con l’immagine che i curdi, il popolo che ha avuto il contatto più stretto con i turchi e che ha subito più intensamente la retorica della “fratellanza”, hanno costruito nei secoli su di loro.
In curdo, i turchi vengono spesso chiamati “Romi” (Rum), “Roma reş” (Rum nero), “Tirkên qûnbicilik” (Turchi con i lombi fasciati) e “Xerîb bûyî li ber destê Romê” (Sei caduto nelle mani del Rum in terra straniera).
Esistono almeno 15 proverbi curdi sui turchi, un numero piuttosto alto. Nei proverbi, i turchi vengono descritti con le seguenti caratteristiche:
1. Sono spietati e senza misericordia.
• “Bextê romê tune ye” (Il Rum non ha pietà, non ci si può fidare di lui).
2. Sono inaffidabili.
• “Heçî Tirk e virek e pê bawer neke” (Chiunque sia turco, è bugiardo, non credergli).
3. Sono ingannevoli e opportunisti.
• “Mar rast diçe, Rom rast naçe” (Il serpente va dritto, il Rum no).
4. Non hanno nobiltà.
• “Kengî behr bû şîr, wê Tirk bibin eşîr” (Quando il mare diventerà latte, allora i turchi diventeranno nobili).
Questi detti, sebbene aspri, rivelano una memoria collettiva radicata che non può essere ignorata.