
Aggiornato il 06/04/25 at 09:22 pm
Ci arrivato dell’amico Gianni Sartori pubblichiamo volentieri———-Alla lunga lista di esponenti politici e organizzazioni che hanno salutato positivamente la proposta di pace di Öcalan (dal sindacato basco LAB a Massimo d’AleMa) si è aggiunto anche l’ex presidente del Sinn Fein Gerry Adams. Già firmatario con oltre 200 difensori dei diritti umani, accademici, giornalisti e intellettuali di una dichiarazione pubblica con cui si invitavano entrambi i contendenti a “compiere passi decisivi verso una pace duratura”.
In questi giorni poi Adams ha firmato un articolo su Andersonstown News ( Andersonstown, ricordo, è uno dei principali quartieri cattolico-repubblicani di Belfast) in cui definisce Öcalan “una voce per la pace, un leader disposto a offrire la mano dell’amicizia ai nemici”.
Nonostante i decenni trascorsi in carcere, Öcalan ha saputo definire un percorso verso la pace che “impegna il popolo curdo con la democrazia, la libertà, la tolleranza”. Sostendo che ormai “è tempo di mettere a tacere le armi e far parlare le idee e la politica”.
Sarebbe questa, secondo lo storico esponente repubblicano “un’opportunità unica per la stabilità del Medio Oriente, per garantire i diritti umani e favorire la riconciliazione”.
Citando gli accordi del Venerdì Santo (con cui negli anni novanta del secolo scorso prese avvio il processo di pace in Irlanda del Nord) ha sottolineato l’importanza del coinvolgimento di tutti i rappresentanti politici alle trattative e quanto il dialogo sia fondamantale. Con un riferimento a processi analoghi (oltre all’Irlanda, il Sudafrica e i Paesi Baschi) Adams ha sottolineato che “la comunità internazionale può svolgere un ruolo molto costruttivo nel sostenere un accordo politico e una soluzione pacifica”. Per concludere elogiando Abdullah Öcalan “per la sua visione” e chiedere al governo turco di liberarlo.
Naturalmente non va dimenticato che non sempre tutto è andato per il verso giusto. Sia in Irlanda (dove, in disaccordo con gli accordi del Venerdì Santo, alcune fazioni repubblicane continuarono a combattere, talvolta con esiti devastanti) che in Euskal Herria (dove, nonostante l’ETA avesse deposto le armi, molti prigionieri sono rimasti in carcere). Per non parlare della Colombia dove la strage (“guerra sporca”) di militanti, ambientalisti, indigeni, esponenti della società civile ed ex guerriglieri era andata intensificandosi proprio con la fine del conflitto (oltretutto solo da parte delle FARC, ma non dell’ELN).
E’ lecito inoltre temere che una affrettata dissoluzione del PKK (come sembra nelle intenzioni di Öcalan) potrebbe innescare la fuoriuscita di fazioni irriducibili. Di cui si è già avuto un assaggio il 23 ottobre 2024 con l’assalto di un commando curdo “autonomo” alla sede della Turkish Aerospace Industries (TUSAŞ). In quella circostanza lo stato-maggiore del PKK si era dichiarao estraneo lasciando intendere che il commando aveva operato indipedentemente. Non appare quindi inverosimile che altre unità indipedententi (v. i “Falchi della Libertà, TAK) possano decidere di continuare a combattere.
Pur nell’incertezza di quanto ci riserva il futuro, rimane il fatto inconstabile che la proposta di Öcalan ha comunque assunto una valenza epocale. Un’occasione forse unica – sia per i curdi che per il governo turco – per non perdere definitivamente il treno della soluzione politica del conflitto.