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Aggiornato il 09/02/25 at 06:11 pm
di Shorsh Surme e Barbara Canova——- Un’organizzazione per i diritti umani ha pubblicato un rapporto dettagliato sull’emissione e l’attuazione di condanne a morte in Iran, annunciando che durante il mese ne sono state registrate 133, tra cui une esecuzione pubblica, oltre all’emissione di 24 nuove condanne e la conferma di altre 7.
Il gruppo degli attivisti per i diritti umani in Iran ha pubblicato questo rapporto dettagliato attraverso la sua piattaforma mediatica, Hrana, mettendo allertando la comunità internazionale sulla “serie sfide nel campo del rispetto dei diritti umani in Iran”.
Secondo il rapporto, il mese di Aban del calendario persiano (23 ottobre – 21 novembre) è stato testimone di una “scena inquietante” di violazioni dei diritti umani nel Paese.
Il rapporto spiega che “le violazioni includevano l’esecuzione di condanne a morte senza garantire un giusto processo, la soppressione della libertà di espressione, arresti arbitrari, violazione del diritto all’istruzione, suicidio di bambini e adolescenti, violenza domestica e sociale contro le donne, oltre alla violazione dei diritti dei lavoratori e all’uso eccessivo della forza da parte dei servizi di sicurezza”.
Il rapporto ha sottolineato “la necessità di un’azione internazionale e nazionale urgente ed efficace per affrontare queste violazioni e sostenere le vittime”, osservando che “la violenza militare e giudiziaria, in particolare contro le donne e le minoranze, ha sollevato profonde preoccupazioni circa l’impegno dell’Iran nei confronti degli standard internazionali sui diritti umani”.
ll gruppo degli attivisti per i diritti umani in Iran ha pubblicato questo rapporto dettagliato attraverso la sua piattaforma mediatica, chiamata Hrana, mettendo in guardia dalle “serie sfide nel campo del rispetto dei diritti umani in Iran”.
Il rapporto si è concentrato su diversi casi, tra cui l’esecuzione di Jamshid Sharmahd, un cittadino iraniano-tedesco, con l’accusa di “corruzione sulla terra”, e le condanne a morte pronunciate nei confronti di Milad Armoun, Alireza Kafaei, Amir Mohammad Khosh Eqbal, Navid Najran, Hossein Nemati, Alireza Barmarz e Varnak, sei manifestanti che sono stati processati nel caso noto come “I bambini di Ekbatan”.
Anche Mohammad Mehdi S., uno dei detenuti delle proteste del 2022, è stato condannato a morte con l’accusa di “aver ucciso un membro Basij”, mentre un’altra condanna è stata emessa contro il prigioniero politico Varesheh Moradi con la falsa accusa di “prostituzione”.
Amnesty International fornisce un rapporto altrettanto inquetante sul biennio 2023-2024. Il 2023 ha registrato un incremento del 172% delle pene capitali, rispetto al 2021. Gran parte di queste condanne a morte sono in reazione al movimento “Donna, Vita, Libertà”. Oltre alle esecuzioni quasi tutte emanate sulla base di processi sommari, è stata segnalata la persecuzione delle famiglie delle vittime che cercano di ottenere chiarimenti sul trattamento inflitto ai loro cari.
“Per due anni, le autorità iraniane hanno condotto una campagna propagandistica di negazione e distorsione per nascondere le prove dei loro crimini e tentare di intimidire le vittime e le loro famiglie fino al silenzio. In assenza di qualsiasi prospettiva di indagini indipendenti e imparziali a livello nazionale, gli Stati devono avviare indagini penali sui crimini imputabili alle autorità iraniane tramite i propri procuratori, in base al principio della giurisdizione universale” segnala il rapporto Amnesty dell’ 11 settembre 2024.
In un contesto geopolitco in cui la violazione dei Diritti Umani non cessa di allargarsi e in cui le condanne del CPI (Corte Penale Internazionale) sono banalizzate se non addirittura rimesse in causa dall’ establishment politico di alcuni Paesi dell’ONU, fra cui ormai anche alcuni Stati Occidentali, l’impegno della stampa, della società civile, dei singoli cittadini non deve venir meno.