UN RICORDO DI SHERKO BEKAS POETA CURDO

Aggiornato il 10/08/24 at 09:19 pm

di Laura Schrader ———-Nella sera del 4 agosto nel parco Azadi di Sulaimani, il parco della Libertà, un folla commossa ha partecipato come ogni anno alla cerimonia di commemorazione del grande poeta Sherko Bekas, salito nel l’Olimpo dei poeti il 4 agosto 2013 .
“…Vorrei essere sepolto nel parco Azadi ai piedi del monumento ai Martiri di Sulaimani del 1963.
…Vorrei, anche quando sarò morto, stare vicino agli uomini e alle donne della mia città.
Desidero ascoltare musica, canti e danze e ammirare le belle vedute del parco.
Mi piacerebbe che la mia biblioteca, la mia collezione di poesia e i miei quadri siano portati vicino alla mia tomb,
in una caffetteria con un piccolo giardino
così che i poeti, gli artisti, e gli innamorati siano miei ospiti”.
Così aveva scritto Sherko Bekas nel suo ultimo testamento.
E così è stato. Il luogo in cui è sepolto fa parte del cuore pulsante della città e la sua tomba circondata da bianche rose rampicanti è un luogo in cui si incontrano i ragazzi e gli adulti, gli studenti e gli innamorati.

“Il mio nome è un sogno, vengo dalla terra della magia. Mio padre è il monte, mia madre è la bruma. Venni al mondo in un anno in cui i mesi furono uccisi, in un mese le cui settimane furono uccise, in un giorno le cui ore furono uccise. “
Così si presenta Sherko Bekas in “La croce e il serpente. Diario di un poeta”.
Sherko Bekas nasce il 2 aprile 1940 a Sulaimani, la capitale culturale del Kurdistan del Sud, in Irak. Il padre Faik è un insegnante e un poeta molto noto come cantore della rivoluzione kurda, e questo plasma l’identità del piccolo Sherko, che rimane orfano a dieci anni e cresce consapevole di essere l’erede di un uomo ascoltato, amato, rispettato per la sua arte. L’orfano vive con la madre e le due sorelle in una situazione difficile, al limite della sopravvivenza. Un’esperienza che segnerà anche la sua poesia, con la sensibilità verso i poveri e con il dolore di un’infanzia non vissuta.
Sherko Bekas riesce nonostante tutto a portare a studiare a Sulaimani e a Baghdad, dove si diploma nel 1960 e trai 17 ai 20 anni pubblica le sue prime poesie. Ha conosciuto personalmente il grande poeta Goran, che con Amad Hardi è per lui fonte di ispirazione.
Nel 1961 scoppia la più grande rivoluzione della storia Kurda: l’intera popolazione, di fatto, si identifica nella lotta guidata dallo storico Partito Democratico del Kurdistan. Le formazioni dei Peshmerga arriveranno alle porte di Baghdad. Sherko Bekas si unisce alla Resistenza sulle montagne e
lavora alla radio “La voce del Kurdistan.
Così il poeta mi ha parlato di quegli anni: “La vita in montagna con i peshmerga e a contatto con la gente dei villaggi mi ha permesso di acquisire una maggiore maturità poetica e libertà linguistica, ho potuto approfondire la conoscenza di strutture verbali propriamente kurde. “
Bekas pubblica il primo libro di poesie nel 1968, con il titolo “Poesia, luce di luna” , accolto con grande favore dalla critica. E diventa il catalizzatore di un movimento culturale impegnato nel rinnovamento del linguaggio. Nel 1970 pubblica con altri poeti il manifesto letterario “Osservatorio” che contribuisce ad innovare la vita culturale del paese, e promuove il movimento Rowanga (La Visione).
Nel 1975, con l’accordo di Algeri Iran e Irak si coalizzano contro il popolo kurdo. Tragicamente si concludono 15 anni di lotta contro l’oppressione irachena. Dopo tre anni di esilio, il poeta torna tra i peshmerga con il nuovo partito Yasheti Nistamani Kurdistan (Unione Patriottica del Kurdistan) nato dalle ceneri della guerra.
Negli anni Ottanta il regime iracheno dopo aver raso al suolo città e villaggi pianifica la campagna Anfal: i kurdi sono “bottino di guerra”, quindi da sterminare secondo il Corano. Contro la popolazione si usano anche le armi chimiche, come nei due giorni di bombardamenti aerei sulla città di Halabja.
Sherko Bekas è in pericolo e nel 1987 il partito organizza la sua partenza per l’esilio. Attraverso la Siria e con una sosta in Italia il poeta approderà in Svezia.
Nell’esilio, pubblica due volumi di poesie, che comprendono la sua produzione tra il 1974 e il 1986, in Diwani Sherko Bekas. A Stoccolma, partecipa attivamente alla vita letteraria. Bekas conosce bene la letteratura del mondo occidentale: ha tradotto in kurdo Il vecchio e il mare di Hemingway e Nozze di sangue di Garcia Lorca; ama autori come Gorkij e Joyce, Rimbaud e Neruda. Diventa socio dell’ Unione Scrittori e del Pen Club svedesi e viene insignito del premio Tucholsky. Come un fiume in piena canta con versi immaginifici, forti, travolgenti le tragiche vicende della sua terra. La sua opera assume anche una valenza storiografica.
Dopo la guerra del Golfo, negli ultimi mesi del 1991 i Peshmerga del Fronte Unito di Liberazione costringono il regime di Baghdad a ritirare l’esercito da una parte del Kurdistan. Sherko Bekas ritorna a Sulaimani. Il 4 giugno 1992 nasce la Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Il poeta, eletto al parlamento con l’Upk, diventa Ministro della Cultura. Si dimette un anno dopo: il poeta preferisce un rapporto più immediato con la cultura, un’ entità viva, da diffondere e condividere. E’ co-fondatore del centro culturale Sardam a Suleimani, dirige un’importante casa editrice e si avvale delle televisioni satellitari, strumento di affermazione identitaria e di lotta politica.
Come Garcia Lorca e Khayam, Neruda e Tagore, Dikynson e Ghilbral, Bekas è un poeta universale. A Torino la sua presenza è stata un trionfo. Era arrivato senza preavviso e Ernesto Vidotto, presidente del Centro Studi Cultura e Società lo aveva invitato a una serata già organizzata per un poeta locale. Da un giorno all’altro avevamo preparato un mucchietto di fascicoli con 16 poesie tradotte in italiano destinate ad essere lette da un attore e offerte al pubblico. I presenti sono emozionati dalla lettura dell’attore. Ma rimangano affascinati quando Sherko, inaspettatamente, le recita in kurdo. Per il suono della sua voce, la forza della sua interpretazione, il suo personale magnetismo, gli ascoltatori sono in delirio. Terminato l’ultimo verso, si alzano e corrono verso Sherko tendendogli il libretto. Il poeta è stupito e gli di spieghiamo che tutti vogliono un suo autografo.
“Har ba mali piau ciakan dace!” aveva detto ridendo Sherko Bekas entrando nella mia casa. Vestito di scuro, folti capelli e baffi neri. Con la sua alta statura oscurava l’ingresso. “Sembra di entrare nella casa di un imam” aveva tradotto uno degli studenti che erano con lui: le porte di casa erano dipinte di verde, il colore dell’Islam. Con lui arrivava una ventata di energia. I miei figli Valeria e Diego e io rimaniamo colpiti dalla sua simpatia, dalla sua vitalità, Ci sediamo al grande tavolo nero della cucina e tra un sorso di vino e una pizzetta si arriva alla poesia. Mi precipito a prendere carta e penna, la prima cosa che trovo è una vecchia agenda. Sherko parla. E scrive. Tutti insieme, gli amici kurdi e noi italiani, ci ostiniamo a cercare la traduzione più accurata di ogni parola che dice e scrive il poeta. Nasce La canna e il vento. Sherko ha creato una leggenda delicata e intensa, la leggenda del flauto.
Sherko decide di rimanere qualche giorno a Torino e possiamo organizzare in fretta un’altra serata, ospiti di amici che gestiscono un locale nel Parco del Valentino. Qui, nello spiazzo tra il verde, insieme all’attore prepariamo le poesie da recitare e i particolari della serata. Il poeta assiste divertito al mio andare e venire. Vorrebbe vedermi tranquilla, a chiacchierare con lui e con gli studenti kurdi. “Voli via veloce come il vento – mi accusa, ridendo – ti chiamerò Rash ban”. Significa Vento nero, mi spiegano. E’ un vento molto forte che soffia a Sulaimani, una specie di bora.
E arriva l’ora della poesia. Il pubblico ascolta ammirato l’attore che recita le poesie in italiano. Poi si alza la voce del poeta, profonda e calda, ricca di sfumature, che sa essere delicata e potente, canto lieve di un ruscello e corsa impetuosa di torrente. Gli ascoltatori quasi trattengono il respiro, sospesi in un’ondata di emozioni. Alla fine scoppia un boato interminabile di applausi e esclamazioni. Le vibrazioni sono così forti che mi preoccupo per la struttura dell’elegante locale in legno proteso sul fiume. Quando torna il silenzio, molti vogliono conoscere il poeta. Chiedono di lui, della sua lingua, della sua terra. Uno degli spettatori è un ingegnere armeno. E’ commosso. Mi dice che quella lingua, quella poesia, lo toccano profondamente.
Sherko tornerà a Torino qualche mese dopo e il successo si ripete in una serata finalmente organizzata con il giusto preavviso e promossa con manifesti e locandine, alla quale partecipano esponenti della vita culturale e politica della città. Di nuovo è un trionfo. Decine di persone sono state travolte dall’emozione ascoltando uno sconosciuto declamare parole incomprensibili, in una lingua misteriosa di cui si ignorava perfino l’esistenza.
Nella sua Autobiografia il poeta parla di queste sue esperienze: “I presenti hanno accolto le mie poesie con molto entusiasmo” scrive, e ricorda che un personaggio noto era salito sul palco e aveva dichiarato: “Sono felice di aver ascoltato oggi questo poeta kurdo. Lo ritengo un grande poeta, e se ci sarà un altro evento in cui reciterà le sue poesie, desidero che mi concediate l’onore di leggerne qualcuna con lui”. Il personaggio era Diego Novelli, membro del parlamento europeo e italiano, saggista, fondatore e direttore di importanti riviste politico-culturali, per un decennio popolarissimo sindaco di Torino.
Tutti quelli che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo hanno sentito che in Sherko Bekas l’uomo e il poeta erano una cosa sola. Sherko comunicava il suo mondo interiore con la voce, l’emotività, il gesto. Con la sua stessa presenza.

“Cara compagna nell’umanità, quando si nomina l’Italia, anche tu fai parte del ricordo, tra gli amici che ho visto dieci anni fa. Mi sembra sia passato un giorno, e anche un secolo. Passato, da che cosa? Poco tempo fa ho scritto la poesia “Laura”, il tuo ricordo e il tuo nome mi sono rimasti dentro e allora è venuto fuori il tuo nome. Mi dispiace, ma ora non ho quella poesia a portata di mano; appena l’avrò trovata, te la spedirò. “ Così mi scriveva Bekas il 27 marzo 1998. Gli amici kurdi avevano visto in televisione, in quel mese di marzo, Sherko Bekas che recitava “Laura”. Il breve poema mi era presto arrivato con una lettera del 30 marzo insieme a altre poesie, alcune in inglese e una trentina in kurdo, perché fossero pubblicate in italiano. Alcune di esse riflettono i suoi momenti di crisi esistenziale. Per esempio “Affondare”, “Attenzione!” (dai semi del mio taedium sono nate / piante pungenti di parole e pena), “Un foglio bianco” e “Notturno”, in cui evoca le bateau ivre di Rimbaud. Più tardi, in “ Restituzione”, sulle ali della sua luminosa immaginazione, il poeta ritrova la chiave della porta della speranza.
Sono profondamente onorata e commossa per il dono della poesia che porta il mio nome. Il poeta si ispira alla differenza tra il mondo tranquillo di “Laura” e il suo mondo senza pace per gridare la profondità della sua passione di combattente, la ferita aperta della sua poesia, il suo amore senza fine per il Kurdistan.
Bekas ci teneva alla traduzione italiana delle opere che mi aveva mandato. Nell’autobiografia ricorda la traduzione di alcune sue poesie contenuta in uno dei miei libri, che “ora è sullo scaffale della mia libreria in Svezia” e anche il modesto fascicolo con le liriche delle sue serate a Torino. Ma pubblicare poesia in Italia non è facile. Ci sono riuscita soltanto qualche anno dopo la sua scomparsa grazie all’Istituto internazionale di Cultura kurda che ha pubblicato “Sherko Bekas. Scintille di mille canzoni”: c sono quelle poesie e c’è la storia della sua vita. Spero che ovunque si trovi, nell’Olimpo dei Poeti o tra le rose bianche della sua ultima dimora di piazza Azadi, Sherko Bekas sorrida per questo libro che parla di lui in italiano.