Aggiornato il 29/06/24 at 04:00 pm
di Shorsh Surme –——–Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Edward Price è tornato ad avvertire la Turchia “di tener fede alla dichiarazione congiunta dell’ottobre 2019, compresa la parte che prevede di fermare le operazioni offensive nel nord-est della Siria”, ovvero di astenersi da un attacco transfrontaliero in Siria, compresa l’area controllata dalle Forze Democratiche Siriane a guida curda (SDF).
L’avvertimento di Price fa seguito ai commenti fatti una settimana fa dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan ai giornalisti che lo accompagnavano al suo ritorno da una visita in Azerbaigian, secondo cui “verrà lanciata un’operazione oltre confine contro le Unità di protezione del popolo curdo siriano, o YPG”, come riferito l’Associated Press.
L’YPG costituisce il nucleo armato del principale partner della coalizione guidata dagli Stati Uniti in Siria nella lotta contro l’Isis, l’SDF. Tuttavia la Turchia vede l’YPG come il ramo siriano del turco Partito dei Lavoratori del Kurdistan, cioè il PKK.
“Come dico sempre, li attaccheremo all’improvviso, una notte”, ha detto Erdogan ai giornalisti che viaggiavano con lui, aggiungendo che “dobbiamo farlo”.
Ad una domanda specifica rivoltagli in conferenza stampa sulla dichiarazione di Erdogan, Price ha ribadito che “Lo abbiamo detto la scorsa settimana, quando questa proposta è stata avanzata per la prima volta, ma rimaniamo profondamente preoccupati per affermazioni che potrebbero portare a un potenziale aumento dell’attività militare nel nord della Siria”.
Price ha invitato “tutte le parti a rispettare il cessate-il-fuoco”, e ha spiegato che “Crediamo che qualsiasi sforzo fatto diversamente potrebbe essere controproducente” per i nostri sforzi per risolvere “il conflitto più ampio in Siria”, ma anche per “gli enormi progressi che si stanno realizzando insieme ai nostri partner curdi, nello sforzo contro l’Isis che ha compiuto passi così importanti negli ultimi anni”.
Fatto sta che tra ieri e oggi la Turchia ha ammassato tre divisioni al confine, due pronte per un’invasione del Rojava, cioè del Kurdistan Siriano, e una al confine con il Kurdistan Iracheno per prevenire che i Peshmerga possano accorrere in soccorso dei curdi siriani.
Non è la prima volta che il “sultano” Erdogan bombarda il Kurdistan Siriano, e in particolare la città di Kobane con la scusa della presenza di “terroristi”, ma anche nelle ultime ore la North Press ha riportato di attacchi curdi “nelle campagne settentrionali di Aleppo e nella città di Tel Tamer, a nord di Hasakah”. In un bombardamento sarebbe stata distrutta la chiesa assira di Tel Tawil, oltre a edifici scolastici e ad abitazioni.
Alcuni critici puntano il dito contro la Russia in quanto “garante del cessate-il-fuoco del 2019”, poiché non starebbe facendo nulla “per fermare la Turchia”.
Erdogan continuerebbe così a stare con un piede in due scarpe: da un lato la Turchia è membro della Nato e come tale paese alleato degli Stati Uniti, dall’altro in Medio Oriente si comporta come vuole, acquista sistemi difensivi S-400 dalla Russia (pensati per abbattere gli F-35 della Nato) e intrattiene importanti rapporti commerciali con Mosca, che vanno dall’energia (compresa la costruzione di una centrale nucleare in Turchia) al settore petrolifero.
La possibile aggressione urca del Kurdistan Siriano arriverebbe in un momento di grande instabilità per la regione mediorientale, con gli houti in guerra nello Yemen, ma soprattutto la guerra tra Israele e Hamas in corso a Gaza.