Aggiornato il 30/04/24 at 09:49 pm
di Diego Schrader ———–E’ uscito in aprile I dannati di Kirkuk scritto da David Issamadden. La città di Kirkuk è stata ed è di frequente protagoniste della storia e della cronaca irachena. E’ un’antichissima città della Mesopotamia da oltre tre mila anni a maggioranza kurda: da quando gli antenati dei Kurdi, i Medi, sconfissero gli Assiri in quest’area della Mesopotamia. Ne parla Marco Polo nel Milione, descrive la sua terra che ribolle notte e giorno di bitume e l’uso che ne fanno gli abitanti. Con la sconfitta dell’Impero Ottomano i ricchi giacimenti di petrolio di Kirkuk determinarono la condanna del popolo kurdo. Con la divisione dell’Impero ottomano vennero creati 27 stati nazionali ma non un Kurdistan. Il trattato di Losanna del 1923 tradì i precedenti accordi di Sèvres e diede inizio alla tragedia kurda. I principati kurdi erano di fatto indipendenti nell’ambito dell’Impero Ottomano e i kurdi – pare incredibile doverlo sottolineare – vivevano secondo la loro cultura, custodivano le loro millenarie tradizioni e parlavano la loro lingua. Una lingua che come la nostra appartiene al gruppo nordoccidentale delle lingue iraniche, derivate dal sanscrito. Radicalmente diversa dal turco che appartiene al gruppo uralo-altaico e dall’arabo, lingua semitica. La Mesopotamia kurda si trovò divisa fra tre stati autoritari, la Turchia, fondata sul razzismo turco-sunnita e l’Irak e la Siria a maggioranza araba, decisi a cancellare il popolo diverso. A Kirkuk il regime nazionalista arabo attuò una politica di persecuzione (a cui partecipò anche la minoranza turcomanna) culminata in un pesantissimo piano di arabizzazione, con la deportazione di migliaia di famiglie in campi di concentramento mentre famiglie arabe erano chiamate a prendere il loro posto. L’antico nome di Kirkuk nel 1976 fu cambiato in al Ta’amim, in arabo Nazionalizzazione, a sancire la “proprietà” degli arabi sulla città e sul distretto di Kirkuk. Soltanto alcuni anni dopo la sconfitta di Saddam Hussein Kirkuk riconquistò il suo nome.
Le terribili vicende subite dalla popolazione kurda di Kirkuk prendono vita in questo libro autobiografico. David Issamadden racconta i primi vent’anni della sua vita con parole che sanno trasmettere forti emozioni. Entriamo con lui in una famiglia che trova il coraggio di combattere contro ogni avversità grazie all’amore che la unisce, allo spirito progressista che non si piega all’autoritarismo nazifascista arabo e al razzismo turcomanno. Gli eventi della recente storia kurda e irachena non sono più un racconto astratto, si impongono nella loro drammatica umanità. Issamadden ci coinvolge nella brutalità del terrore di stato che si abbatte su due dei suoi fratelli entrati nel movimento della Resistenza, nell’angosciosa ricerca di uno di loro nell’hangar dell’ aeroporto di Kirkuk che custodisce i prigionieri politici stremati dalle torture, nella figura del padre, un autentico maestro di vita e nella dolcezza piena di forza di sua madre. “La sua autobiografia coinvolge come un romanzo e informa come un saggio storico – politico. E commuove, perché misteriosamente percorsa, come in filigrana, dall’emozionate filo conduttore della poesia” scrive Laura Schrader nella prefazione. Ed è così. David Issamadden, che in esilio in Italia dove è diventato un medico affermato ha continuato a combattere contro il regime iracheno come presidente della Comunità kurda, la quale per decenni ha promosso intense attività politiche e culturali, sa trovare anche le corde della poesia. C’è poesia nelle parole che dedica alla festa di Nawroz, il capodanno kurdo, simbolo di liberazione dalla tirannia, c’è poesia quando ci racconta perché nella sua casa di Bologna c’è sempre una melograna in più nella fruttiera, oppure quando ci descrive la tenerezza di un primo amore, lasciato per sempre.
Tra i libri che parlano del Kurdistan quelli scritti da autori kurdi che raccontano la loro storia personale, come I dannati di Kirkuk, hanno certamente una marcia in più. Troviamo in essi esperienze incredibili e un’ emozionante lezione di vita.