Aggiornato il 24/02/24 at 08:29 pm
di Shorsh Surme –—-Oggi il Medio Oriente è diventato un focolaio di conflitti, teatro di massacri e di azioni violente con ripercussioni pericolose per l’illogicità e le contraddizioni che stanno alla base. Fino all’estate scorsa il conflitto israelo-palestinese era assente dalle cronache internazionali e dello stesso mondo arabo, ma le tensioni per gli insediamenti in Cisgiordania e gli eventi del 7 ottobre, con la conseguente operazione militare su Gaza, hanno riportato in auge il Medio Oriente.
Israele e i suoi sostenitori hanno tuttavia presentato una narrazione fuorviante, che non rivela le recenti sconfitte nel conflitto con i palestinesi. Le due parti sono in conflitto da quasi sette decenni, con un ciclo ricorrente di violenza proveniente principalmente da Israele. Più di quanto provenga dalla parte palestinese, che vive sotto l’occupazione.
Lo scambio di ostaggi rapiti il 7 ottobre, in cambio del rilascio di palestinesi da lungo tempo imprigionati nelle carceri israeliane, rimane intermittente, ed in Cisgiordania si è potuto assistere all’arresto di un gran numero di palestinesi, così come vi è stata l’uccisione per errore di ostaggi israeliani per mano dello stesso Israele.
Prima del 7 ottobre Hamas e i combattenti della resistenza avevano ricevuto sostegno dai palestinesi di Gaza, alcuni per considerazioni ideologiche, altri come espressione di rifiuto dell’occupazione, e altri in gran parte spinti dalle esigenze di convivenza funzionale. Le perdite umane e materiali subite dalla società palestinese a causa della risposta militare israeliana a Hamas avrebbero dovuto portare in qualche modo a un calo del sostegno interno al gruppo, ma l’azione militare israeliana è stata disumana e indiscriminata in quanto diretta contro i civili, e visto il comportamento timido dell’Autorità Palestinese, Hamas si sta rafforzando, invece che indebolendo.
Israele ha annunciato l’intenzione, una volta terminata l’operazione, di esercitare un controllo di sicurezza assoluto sulla Striscia di Gaza. Allo stesso tempo ha rivolto una richiesta illogica e irresponsabile all’Egitto, alla Giordania e ad altri paesi arabi affinché forniscano forze per contribuire alla sicurezza nella Striscia, richiesta che è stata respinta perché questi paesi non possono accettare di agire contro i palestinesi sotto la copertura dei militari israeliani, né hanno interesse a impegnarsi in un conflitto contro lo stesso Israele, il che potrebbe mettere a repentaglio gli accordi di pace esistenti.
Israele ha proposto di trasferire gli abitanti di Gaza nel Sinai, con grande sgomento dell’Egitto, il primo paese arabo a firmare un accordo di pace con Israele. Inoltre l’espansione dell’attività di insediamento israeliano ha spinto i tradizionali sostenitori della soluzione dei due Stati a perdere la speranza e a pensare all’alternativa di un unico Stato, in cui palestinesi e israeliani coesistono con un’identità comune e pari diritti.
Sebbene la rimozione degli insediamenti sia senza dubbio una sfida, l’idea che palestinesi e israeliani coesistano con un’unica identità e pari diritti è del tutto utopica, soprattutto alla luce dei recenti eventi. Pertanto l’idea della secessione con due identità nazionali è l’unica opzione rimasta, sostenuta dagli Usa, dagli altri attori internazionali e dai partiti arabi locali, ma non dal governo israeliano.
Gli Stati Uniti, noti per la loro sbandierata “difesa della democrazia e dei diritti umani”, continuano a opporsi al cessate-il-fuoco a Gaza, di fatto consentendo l’uso delle armi contro i civili e ostacolando i tentativi di imposizione di sanzioni contro Israele per la violazione dei diritti umanitari.