Aggiornato il 19/03/23 at 05:17 pm
di Gianni Sartori ———Non so se un giorno (comincio a dubitarne in verità) accadrà che come auspicava Neruda “il popolo potrà salire dal mezzo della tormenta scatenata alla chiarità dell’universo”.
Ma qualora il sogno di tante generazioni di oppressi e sfruttati – e soprattutto ribelli (“in sé e per sé”) – dovesse realizzarsi, dovranno rivolgere uno sguardo grato a tutti coloro, in maggioranza “anonimi compagni”, che su questa strada impervia sono caduti. Talvolta intere famiglie, come quella dei Cervi.
E’ questo anche il caso di Mohiuddin Ebrahimi, un prigioniero politico curdo di 43 anni impiccato nella prigione di Urmia (ROJHILAT, Kurdistan orientale sotto amministrazione iraniana) il 17 marzo. Due giorni prima (come informava il Kurdistan Human Rights Network) aveva potuto incontrare per l’ultima volta la sua famiglia prima di essere posto in isolamento in attesa dell’esecuzione.
Stando a quanto riportava l’agenzia di stampa Mezopotamya (MA), contemporaneamente venivano giustiziati altre sei curdi (Ferweher Abbasnejad, Mohammad Ayyubiyan, Jahanbaxş Radluyi, Yasin Raşidi, Hasam Omri e Nasrin Niyazi) detenuti per reati comuni (contrabbando o traffici illegali).
Stando ai dati ufficiali (presumibilmente in difetto) dall’inizio dell’anno sono quasi 150 le persone giustiziate in Iran.
Come avviene quasi sistematicamente per i prigionieri politici, il corpo di Ebrahimi non è stato restituito ai familiari e sepolto in una località tenuta segreta. La sera prima dell’esecuzione il figlio di Ebrahimi veniva arrestato davanti al carcere, ma poi rimesso in libertà. Originario del villaggio di Alkawi (Oshnaviyeh / Shino) Muhyaddin Ebrahimi era stato ferito gravemente e arrestato il 3 novembre 2017 mentre lavorava come kolbar (“spallone”) sulla frontiera tra Iran e Irak. Processato senza nemmeno un avvocato d’ufficio il 20 agosto 2018 per “tradimento”, la condanna a morte gli era stata notificata il 23 septembre 2018.
Dopo il suo ricorso, veniva nuovamente sottoposto a giudizio e condannato a morte il 18 gennaio 2020 per “infedeltà e appartenenza al Partito Democratico del Kurdistan d’Iran”. Muhyaddin era già stato arrestato nel 2011 e detenuto per circa un anno sempre per presunta appartenenza al PDK-I. Suo fratello, Nurradin Ebrahimi, era stato ucciso dai soldati iraniani nel maggio 2018 durante un attacco nei pressi della frontiera (a Oshnaviyeh). E anche suo padre, Mohammad Bapir Ebrahimi, era stato ucciso dai “Guardiani della rivoluzione islamica”, i pasdaran.
Il 15 marzo nove curdi del Rojava, membri delle Unità antiterrorismo (Yekîneyên Antî Teror – YAT), hanno perso la vita nella provincia di Duhok (Kurdistan iracheno) per l’incidente di un elicottero.
I loro nomi sono stati divulgati dall’ufficio stampa delle Forze Democratiche Siriane (FDS):
Şervan Kobanê, Hogir Dêrik, Dîdar Dêrik, Feraşîn Baran, Koçer Dêrik, Rojeng Firat, Xebat Dirbesiyê, Harun Rojava e Doxan Efrîn.
Stando al comunicato delle FDS “durante un trasferimento dell’unità verso la città di Sulaymaniyah nella serata del 15 marzo 2023, due elicotteri che li trasportavano sono caduti per le cattive condizioni meteorologiche causando la morte di nove dei nostri combattenti guidati da Shervan Koban”.
Aggiungendo che “Le forze antiterroriste (integrate nella coalizione internazionale contro lo Stato islamico nda) hanno sacrificato i loro migliori combattenti e dirigenti nella guerra contro il terrorismo a Kobane, Raqqa e Deir Ezzor”.