Aggiornato il 27/11/22 at 09:06 pm
di Gianni Sartori —- La possibilità di una azione militare simultanea tra Ankara e Teheran in Iraq era stata evocata ancora il 18 novembre dal consolato degli Stati Uniti a Erbil.
In seguito tale possibilità veniva in qualche modo confermata addirittura indicando la possibile data, Domenica 27 novembre.
Oltre che il Kurdistan iracheno (Bashur) colpirebbe anche – e ulteriormente – il nord della Siria (Rojava).
Inutile chiedersi se, qualora questo avvenisse, la comunità internazionale reagirebbe in difesa della popolazione curda nello stesso modo in cui ha reagito per l’Ucraina.
Sappiamo che al mondo esistono popoli di serie A, B, C…
In ogni caso, una pessima maniera di celebrare il centenario del Trattato di Losanna.
A giustificazione del loro intervento Ankara e Teheran invocano, rispettivamente, la presunta responsabilità curda nell’attentato del 13 novembre a Istanbul (su cui invece si addensano fondati sospetti di “strategia della tensione” e l’ombra del MIT) e il traffico di armi attraverso la porosa frontiera iracheno-iraniana. Armi che potrebbero finire nelle mani dei manifestanti, alimentando quella che ormai da protesta per la morte di Jina Amini (16 settembre) si va trasformando in aperta ribellione contro la teocrazia.
Da giorni l’Iran sta bombardando le presunte basi dell’opposizione curda rifugiata in Iraq e contemporaneamente andrebbe ammassando truppe e centinaia di blindati in prossimità della frontiera.
Nel contempo la Turchia prosegue nei suoi attacchi con aerei, droni e artiglieria sia in Rojava che in Bashur.
Alcuni osservatori hanno ipotizzato che gli accordi per l’operazione congiunta contro i curdi potrebbero essere stati stipulati nel colloquio telefonico del 17 novembre tra i due ministri degli interni, Suleyman Soylu e Ahamad Vahidi.
Successivamente il comandante dei Guardiani della rivoluzione, l’iraniano Esmail Ghani si era recato a Bagdad a incontrare il primo ministro iracheno Abdul Latif Rachid. Per preavvisarlo di un possibile intervento militare via terra qualora il governo iracheno non avesse provveduto adeguatamente a blindare il confine.