Aggiornato il 22/11/21 at 09:09 pm
di Francesco Brusa—— Fare giornalismo vuol dire a volte scoprire se stessi. È successo a Berfin Kar, reporter di origini curde che si è trovata quasi “per caso” fra il 2015 e il 2016 a documentare il terribile assedio di Cizre (estremità sud-orientale dell’Anatolia) da parte dello stato turco e la cui storia viene raccontata nella pellicola Kurdbun – Essere curdo di Fariborz Kamkari (presentata in anteprima mondiale al Maxxi di Roma all’inizio di ottobre): mentre sulla cittadina cadevano le bombe e sfrecciavano i colpi di fuoco dei carri armati, Kar e il suo cameraman decisero di restare accanto alla popolazione per fare interviste, raccogliere prove e testimonianze, dare voce a chi in quel momento era in pericolo di vita.
Solo grazie alla caparbietà dei contatti che aveva sul posto, poco prima che i militari turchi iniziassero a rastrellare le case per eliminare ogni traccia dei crimini commessi, la giornalista è riuscita a fuggire e consegnare il girato a Fariborz Kamkari che lo ha infine ricomposto e montato in un vero e proprio documentario. Abbiamo parlato col regista, per capire come si è confrontato con un materiale tanto delicato quanto “scottante”, e non privo di conseguenze per chi lo ha prodotto: Berfin Kar, infatti, si trova ora sotto processo per via del suo lavoro di testimonianza.
Ci può spiegare la genesi dell’opera?
Come saprete, prima dell’assedio del 2015, la città di Cizre rappresentava un contesto dove veniva messo in pratica il “confederalismo democratico”, un modello di organizzazione politica e sociale più egualitaria che proviene dalla lotta curda. Lo stato turco aveva lanciato un ultimatum affinché si sciogliesse il consiglio comunale, che però si è rifiutato, e da lì è partito un attacco che ha portato anche all’uccisione dei membri dell’istituzione locale.
Berfin Kar, che proviene da Istanbul ma era in zona, ha deciso di fermarsi a Cizre ritrovandosi così nel giro di pochi giorni dentro a uno scenario di guerra civile. Ha filmato tutto ciò che stava accadendo, realizzando una sorta di “diario”. Il materiale era così forte e dettagliato che ho voluto mantenere la forma di documentario, perché non perdesse il suo carattere implicito di denuncia verso le azioni dell’esercito e dello stato turchi. Non a caso, la pellicola è stata visionata come prova anche dal Tribunale dei Popoli, che si è espresso sulla vicenda di Cizre.
Nel film, però, si racconta anche della presa di consapevolezza di Kar del suo “essere curda”…
L’aspetto del materiale che mi ha colpito veramente tanto, e per il quale ho deciso di andare al di là degli avvenimenti di Cizre, è che le immagini raccolte da Kar parlavano anche ai miei ricordi d’infanzia. Io sono nato e cresciuto in Iran, dove il popolo curdo ha conosciuto dinamiche simili a quelle che ci sono in Turchia: la nostra comunità è stata isolata e oppressa, e anche nel mio paese si sono verificati assedi come a Cizre.
Le testimonianze di Berfin Kar raccontano quindi anche la mia storia personale e, più in generale, la tragedia di un intero popolo. Perciò, attraverso il montaggio, ho voluto sottolineare questo “destino comune” che condividono tutte le persone curde in ogni parte del mondo. Per farlo ho costruito il film attorno a due linee narrative, in cui da una parte si mostra il diario quotidiano sull’assedio di Cizre e dall’altro viene sviluppata una panoramica più complessiva su tutta l’epopea curda.
Ci sono immagini talvolta molto crude ed esplicite. Che tipo di selezione ha operato?
Come accennavo, quando ho visionato il materiale girato da Berfin Kar mi sono detto che non potevo non raccontare questa storia, perché è una storia che parla anche a me stesso e a tutto il popolo curdo. Sono anni che come curdi assistiamo a scenari di guerra, scatenati sulla nostra pelle. Poter raccontare come tali scenari vengono visti e percepiti “dal di dentro” – in un modo, cioè, che in una certa misura contrasta con i “filtri” di una certa informazione più legata alla Nato o comunque alle potenze mondiali – mi è sembrata un’occasione da non perdere.
A Cizre sono stati compiuti crimini intollerabili. Il diario visivo composto da Kar mostra bene come, quale che sia il motivo che ha spinto a commetterle, si tratti di violenze che non si possono giustificare e mi sembrava profondamente ingiusto non far vedere quanto è violento lo stato turco nei nostri confronti. Insomma, la speranza è che tutti questi eventi, tutte queste ingiustizie, non cadano nell’oblio.
Kurdbun è un documentario, ma lei ha girato anche film di finzione. Che differenza fra i due formati?
Io mi sento uno storyteller, un narratore. In questo senso, penso che il cinema sia uno strumento di comunicazione molto potente che permette di andare oltre i confini, non solo artistici ma anche territoriali, confini artificiali che pesano sulle vite dei popoli. Ecco, l’unico obiettivo che mi pongo è dunque quello di andare oltre i confini: cambia poco che utilizzi la finzione oppure uno stile più documentaristico-giornalistico.
Per la comunità curda Cizre rappresenta un simbolo della buona riuscita dell’autogestione democratica: sono stati compiuti grandi passi avanti in termini di diritti e di ecologia, sono stati creati posti di lavoro, piccole fabbriche, scuole in cui veniva insegnata la lingua curda. Per censurare tutto questo lo stato ha messo in piedi una gigantesca macchina propagandistica, che però non è riuscita a coprire i risultati ottenuti: Cizre rimane un esempio per tutte e tutti noi, nonostante la sua vicenda tragica. Credo che il cinema sia dunque anche un modo per superare la censura: spero davvero che raccontare porti a qualcosa, che tramite la cultura si possa spingere al cambiamento e creare un mondo migliore.
Fonte: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Cizre-una-tragedia-paradigmatica-213588