Aggiornato il 18/07/21 at 10:56 pm
di Gianni Sartori — Forse l’avevate notato anche voi. Da qualche tempo sembrerebbe (condizionale d’obbligo) che rosso-bruni (dichiarati e non), “antidiplomatici” vari, antimperialisti de noaltri e infatuati di Assad si siano dati una calmata. Perlomeno nell’infangare sistematicamente la rivoluzione curda e nell’intervenire petulanti (peggio dell’Inquisizione o della GPU) ogni qualvolta soltanto si nominava il Rojava (che – secondo loro – non esisterebbe nemmeno; per analogia pensiamo alle reazioni dei falangisti spagnoli appena sentivano nominare Euskal Herria).
Rinsaviti? Temo di no, purtroppo. Come quasi sempre dietro ogni presa di posizione politica o ideologica ci sono ragioni materiali, mercantili diciamo.
In concreto, la prevista scadenza della licenza di Delta Crescent entro il 31 agosto, quando dovrebbe cessare lo sfruttamento dei pozzi petroliferi nel nord-est della Siria gestito dai curdi. Licenza che verrebbe trasferita a Gulfsands Petroleum Company, una compagnia registrata nel Regno Unito e presente in Siria dal 2011. Secondoil Weekly Middle East fil & Gas News and Analysis oltre la metà delle azioni di tale compagnia in giugno venivano acquistate da un uomo d’affari russo.
Quindi nessun problema. Dato che ora – in pratica – sono i russi a impadronirsene, le “risorse naturale patrimonio intangibile della Siria” possono tranquillamente venir commercializzate.
In filigrana si intravede l’accordo russo-statunitense sull’apertura di punti di transito, di fatto una sospensione delle ostilità (almeno in Siria e temporaneamente) tra Washington e Mosca. Nella prospettiva di possibili accordi futuri e di un miglioramento anche dei rapporti tra curdi e Russia la cui permanenza in Siria, ormai appare evidente, sarà di lunga durata.
In questa prospettiva appare scontato che siano i Russi – e non più gli Usa – a fruire del petrolio della regione.
Non sarebbe invece un problema (ma piuttosto una “risorsa”) nemmeno per Mosca, l’ulteriore permanenza statunitense in chiave anti-Isis. Una battaglia che Mosca e Damasco non sembrano in grado di affrontare senza l’aiuto indispensabile dei curdi e in seconda battuta degli Usa.
A conti fatti potrebbe convenire anche ai curdi in quanto le politiche statunitensi appaiono quantomeno ondivaghe tra un’amministrazione e l’altra. Mentre Mosca, a modo suo, garantisce comunque una maggiore continuità e stabilità.
Del resto anche in passato, prima degli accordi con la compagnia statunitense, il petrolio veniva sfruttato direttamente dalle FDS (Forze democratiche siriane di cui fan parte le YPG) che in genere lo rivendevano a Damasco. E senza suscitare particolari sollevate di scudi “sovraniste” per le risorse nazionali espropriate. Se era solo una questione di petrolio e profitto, bastava dirlo.