Aggiornato il 04/07/21 at 07:26 pm
Sicurezza Internazionale—– Le forze dell’esercito siriano, affiliate al presidente Bashar al-Assad, hanno colpito, per mezzo di missili e artiglieria pesante, diversi villaggi e città alla periferia di Hama, Aleppo e Idlib, nella cosiddetta quarta “area di de-escalation”.
A riferirlo, il primo luglio, il quotidiano al-Araby al-Jadeed, a pochi giorni di distanza dall’annuncio di una tregua, mai ufficializzata da canali ufficiali, a Idlib, regione situata nel Nord-Ovest della Siria, ultima roccaforte dei gruppi di opposizione. Secondo quanto riferito da un attivista locale, gli aerei di Damasco hanno lanciato più di 40 tra missili e colpi di artiglieria contro l’Ovest di Aleppo, oltre che contro al-Ghab e Jabal al-Zawiya, nel Sud di Idlib. Stando a quanto specificato, non sono state registrate vittime, ma danni alle proprietà civili. Parallelamente, un gruppo di ribelli locale, Ansar al-Tawhid, ha annunciato di aver colpito postazioni del cosiddetto Quinto corpo, considerato il braccio armato di Mosca in Siria, in risposta ai perduranti bombardamenti di Damasco, coadiuvata dall’alleato russo.
Ciò è avvenuto mentre fonti di al-Araby al-Jadeed hanno riferito di aver monitorato l’arrivo di rinforzi proprio del Quinto Corpo, provenienti dal Sud-Est di Idlib, verso la regione desertica di Palmira. Si tratta, in particolare, di circa 200 combattenti, equipaggiati con artiglieria pesante e carri armati, i quali si pensa siano stati inviati per continuare la campagna antiterrorismo avviata da Mosca e Damasco nella Badia siriana. Qui, da circa sei mesi, le forze siriane e russe provano a contrastare le cellule dello Stato Islamico ancora attive.
Tali sviluppi giungono dopo che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, tenuta il 30 giugno ad Antalya, in Turchia, ha affermato che Mosca e Ankara si sono dette concordi ad attivare l’intesa su Idlib che prevede la creazione di una zona smilitarizzata. Tuttavia, al momento, non è ancora chiaro che cosa si intenda con tale espressione, che potrebbe far riferimento ad accordi preesistenti, tra cui quello di settembre 2018 e il cessate il fuoco del 5 marzo 2020. In tale data, i presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco nel governatorato di Idlib, esteso al termine degli ultimi colloqui svoltisi a Sochi il 16 e 17 febbraio scorso. L’intesa prevedeva altresì operazioni di pattugliamento congiunte sulla strada internazionale Aleppo-Latakia e la creazione di un corridoio di sicurezza lungo sei chilometri da Nord a Sud dell’arteria. Tuttavia, tale punto non è stato mai effettivamente concretizzato e la stessa tregua è stata più volte violata, fino a giungere all’escalation delle ultime settimane, apparentemente placata dal 29 giugno.
Le mosse dentro e fuori il campo di battaglia sono accompagnate dalle perduranti problematiche di tipo economico e sociale. A tal proposito, come riportato il 2 luglio da al-Araby al-Jadeed, la popolazione siriana che abita nelle aree poste sotto il controllo di Damasco lamenta frequenti razionamenti dell’energia elettrica, in un momento in cui si assiste a una forte ondata di caldo. Il governo, da parte sua, afferma di non avere quantità di carburante sufficienti e di non essere in grado di avviare attività di manutenzione presso centrali elettriche consunte, anche a causa delle sanzioni economiche imposte negli ultimi anni.
Parallelamente, i prezzi di combustibile e di gas per uso domestico hanno raggiunto prezzi record nelle aree non controllate dal governo damasceno e, in particolare, presso Idlib, Aleppo, Raqqa e Hasakah. Si tratta di aree poste sotto l’influenza di Hay’at Tahrir al-Sham e dell’Esercito nazionale siriano, che importano combustibili europei attraverso la Turchia. Secondo le autorità locali, la causa è da far risalire a un aumento dei prezzi da parte delle società esportatrici. La società “Watad Petroleum”, affiliata al “governo della salvezza”, considerata l’ala politica di Hay’at Tahrir al-Sham, ha affermato che l’aumento dei prezzi è stato registrato solo per il carburante importato dalla Turchia. Il prezzo di una bombola di gas ha raggiunto 98 lire turche, rispetto alle 93 precedenti, mentre il costo di un litro di benzina importata è aumentato da 6,8 a 7,19 lire. Anche il costo di un litro di gasolio tipo I importato è salito a 6,71 lire, rispetto alle 6,42 lire precedenti.
Tali sviluppi si inseriscono nel quadro del perdurante conflitto siriano, in corso oramai da circa dieci anni. Questo è scoppiato il 15 marzo 2011, quando parte della popolazione siriana ha iniziato a manifestare e a chiedere le dimissioni del presidente siriano, Assad. L’esercito del regime siriano è coadiuvato da Mosca, oltre ad essere appoggiato dall’Iran e dalle milizie libanesi filoiraniane di Hezbollah. Sul fronte opposto vi sono i ribelli, i quali ricevono il sostegno della Turchia.