PALESTINESI E CURDI: STESSA OPPRESSIONE, STESSA RESISTENZA

Aggiornato il 16/05/21 at 09:06 pm

L’opinione di Gianni Sartori — E’ primavera. Riprendono le stragi – di civili soprattutto – ai danni di curdi, palestinesi, adivasi, indios, karen…

E riprendono le danze, le schermaglie dialettiche, le invettive, le accuse di ipocrisia, indifferenza, complicità.

A geometria variabile.

Se fino a non molto tempo fa erano i sostenitori di Teheran e Damasco (rosso-bruni, “campisti”, neostalinisti…) ad accusare i curdi di “collaborazionismo” con gli USA (citando, magari anche a sproposito, una polemica presa di posizione del FPLP), ora tocca a presunti – e non richiesti – sostenitori della causa curda ironizzare sulle dichiarazioni  – ovviamente strumentali – di Erdogan a sostegno dei palestinesi.

Preciso che mi riferisco a una – per quanto generica e forse non sempre autentica – “sinistra” che si definisce “antimperialista”. Della destra dichiaratamente neoliberista non intendo proprio occuparmi.

Lo stesso “gioco delle parti” a cui ci era toccato assistere – paradossalmente – all’epoca degli ultimi scioperi della fame di prigionieri politici sia turchi che curdi. Qualcosa che assomigliava più al tifo calcistico che alla solidarietà.

Chi – giustamente informava sulla protesta dei membri di Grup Yorum imprigionati (spesso conclusasi tragicamente) in genere evitava di occuparsi di quella – analoga –  dei prigionieri curdi (anche questa spesso destinata a finire tragicamente, magari più sbrigativamente con un suicidio).

Da segnalare invece che proprio una nota militante palestinese (membro del FPLP), Leila Khaled, si era recata a visitare l’ex deputata curda Leyla Guven in sciopero della fame (ma questo non sembrava scalfire le granitiche certezze dei nostrani “campisti” anticurdi).

Un gran casino in cui a rimetterci sono sempre e comunque i popoli oppressi, le nazioni senza stato. Sia quella curda che quella palestinese. Tuttavia, anche se le tortuosità e contraddizioni della Storia sembrano averli relegati in campi contrapposti, a mio avviso tra i due popoli prevalgono ancora sostanziali affinità e analogie. Tra chi appunto subisce sia un’oppressione che una strumentalizzazione allo scopo di mantenerne il dominio. Da parte, rispettivamente, del governo israeliano e di quello turco.

I quali, peraltro, quando necessita,  non  esitano a collaborare mettendo da parte le divergenze. Non solo le relazioni commerciali – e anche militari – tra i due Stati si mantengono floride e proficue (ancora in dicembre il consigliere presidenziale turco dichiarava a Voice of America che “le industrie della difesa della Turchia e di Israele possono procedere insieme”), ma è anche assai probabile che nel sequestro di Ocalan in Kenia ci sia stato lo zampino del Mossad. Così come nel recente conflitto tra Armenia e Azerbaijan, entrambi – sia Israele che la Turchia – hanno collaborato fornendo mezzi (armi, droni…) e intelligence a quest’ultimo. Tra l’altro, se la cosa era scontata per la Turchia, appariva quantomeno indecente da parte di Israele (viste e considerate le profonde analogie tra il genocidio armeno e quello ebraico). E ricordo che solo i curdi, coerentemente, si erano schierati apertamente con l’Armenia.

E ora? Da che parte si collocano i curdi mentre la prigione a cielo aperto di Gaza viene bombardata e ridotta a un carnaio?

Ovviamente dalla parte di chi – come appunto i palestinesi e i curdi – lotta per la propria stessa sopravvivenza. Ossia dalla parte dell’autodeterminazione dei popoli.

All’opposto di coloro che predicano l’annientamento di un popolo a causa della sua identità etnica o della sua religione.

Purtroppo, come dicevo, la complessità del “groviglio” mediorientale ha generato molta confusione.

Una confusione che può talvolta oscurare un fatto evidente: entrambi, palestinesi e curdi, vengono perseguitati da Stati potenti, bene armati, privi di scrupoli nel proposto di annientarli. Vuoi fisicamente, vuoi politicamente e culturalmente.

Entrambi, palestinesi e curdi, sono sottoposti a quella che possiamo tranquillamente definire “pulizia etnica”. Entrambi subiscono attacchi che lasciano sul terreno decine, centinaia di vittime civili e negli animi dei sopravvissuti lacerazioni e traumi irreparabili. Per non parlare delle norme giuridiche applicate ad hoc o della distruzione dell’ambiente (dal taglio delle piante di ulivo alla privazione dell’acqua) per demolirne la resistenza. Nel caso dei curdi, gli stupri sistematicamente usati come arma (“crimini di guerra” ad ogni effetto).

Entrambi poi, palestinesi e curdi, sottoposti ad un regime di vero e proprio apartheid.

La preannunciata espulsione di famiglie palestinesi da Gerusalemme-Est , aveva fatalmente4 generato le proteste degli interessati e della popolazione palestinese solidale.

Significativo – se vogliamo una conferma di quanto entrambi i popoli stiano combattendo contro la medesima forma di oppressione – il fatto che una delle famiglie che da più tempo  resiste alla deportazione  porti il nome di El Kurd (nel secolo scorso numerosi curdi avevano raggiunto la Palestina).

Anche in questi giorni il Partito democratico dei popoli (HDP) ha ribadito la sua volontà di “sostenere il popolo palestinese oppresso”, lamentando tuttavia una certa confusione sorta anche tra i curdi. Così come – in parallelo – ha espresso preoccupazione per l’ostilità espressa da alcune organizzazioni palestinesi nei confronti dei curdi.

In passato le cose apparivano, per quanto drammatiche, più chiare. Erano stati i palestinesi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e del Fronte democratico per la liberazione della Palestina a fornire l’indispensabile addestramento ai membri del PKK sfuggiti alla repressione e alla forca in Turchia. E non pochi curdi erano caduti combattendo a fianco dei palestinesi all’epoca dell’invasione del Libano da parte di Israele nel 1982.

Quanto alla sospetta (interessata?) solidarietà espressa talvolta da parte israeliana nei confronti dei curdi, non dimentichiamo che in realtà è rivolta più che altro ai curdi “moderati” del PDK di Barzani (ossia al Kurdistan “iracheno”), non certo a quelli del PKK considerati alla stregua di “terroristi”.Da un certo punto di vista quindi Erdogan e Netanyahu si equivalgono, sono speculari. Qualsiasi cosa la Turchia  vada rinfacciando a Israele per la sua politica repressiva – al limite del genocidio – contro i palestinesi, può essere rinviata a Erdogan nei confronti dei curdi.

A scanso di equivoci, ma non dovrei neanche dirlo, non nutro nessunissima simpatia per Hamas (così come per ogni fondamentalismo religioso o per chi crede di potersi liberare riproducendo le categorie dell’oppressione, del dominio). Tuttavia non posso dimenticare come questa sia sorta e come sia stata utilizzata per screditare e dividere l’OLP. Fermo restando che la lotta del popolo palestinese è anteriore di decenni alla nascita di tale organizzazione e comunque la trascende. Così come il suo diritto all’autodeterminazione.

 

*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di Panoramakurdo.