Aggiornato il 08/04/21 at 10:51 pm
di shorsh surme — Il 9 aprile di diciotto anni fa, una coalizione guidata dal Governo degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito, con le loro colonne dell’esercito, entravano nella capitale Irachena Baghdad da diverse direttrici fino ad arrivare nella piazza Tharir, in pieno centro. Nella piazza c’era una grande statua del dittatore, statua che divenne poi simbolo della fine del tiranno che governava il paese mediorientale da 36 anni durante i quali i popoli dell’Iraq sono stati privati di tutto: della libertà di poter usufruire delle risorse nazionali per il proprio sviluppo, come il petrolio, ma anche dell’aria per respirare.
Saddam Hussein aveva trasformato l’Iraq in una enorme caserma. Le due guerre, prima quella con l’Iran e poi quella del Golfo, e dodici anni di embargo avevano prodotto un esodo massiccio di Iracheni all’estero e un milione di morti.
Con tutto ciò non possiamo dire che l’Iraq è pacificato, tutt’altro. Nei trascorsi diciotto anni terroristi di Al-Qaeda di Abu Musab al-Zarqawi, prima e Isis dopo avevano deciso di trasformare l’Iraq in una terra bruciata e gli jihadisti provenienti sia del mondo Arabo che nel mondo Islamico, in primis dei paesi limitrofi come l’Iran, la Siria e la Turchia, continuano ancora oggi con le loro azioni destabilizzanti.
l’Iraq è una società composta da gruppi etnico-religiosi: sciiti, sunniti e curdi, con una profonda rivalità tra le due principali confessioni islamiche che risale alla nascita dell’Islam, 14 secoli fa, subito dopo la morte del profeta dell’Islam Maometto. Quindi questo conflitto non è ne’ di oggi ne’ di ieri, ma risale a molto tempo fa, e nessuna delle due comunità ha cercato di risolvere il problema dalla radice, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo Islamico.
Per quanto riguarda il popolo curdo, come minoranza etnica oppressa e ricacciata in una regione ostile da arabi, persiani e turchi, esso combatte per l’indipendenza e per un proprio Stato da decenni.