Aggiornato il 25/02/21 at 09:51 pm
Sicurezza Internazionale —- Aerei turchi hanno colpito, mercoledì 24 febbraio, le postazioni appartenenti al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) situate nell’area montuosa di Qandil, nella regione del Kurdistan iracheno, al confine tra Iraq, Iran e Turchia.
A riferirlo, il quotidiano al-Araby al-Jadeed, il quale ha specificato che l’area bombardata rappresenta una roccaforte del PKK, un’organizzazione paramilitare, sostenuta delle masse popolari del Sud-Est della Turchia di etnia curda, ma attiva anche nel Kurdistan iracheno. Per Ankara, l’Unione Europea e per gli Stati Uniti, tale Partito è da considerarsi un’organizzazione terroristica. In particolare, fonti della sicurezza di Dahuk hanno dichiarato che i raid turchi hanno preso di mira i nascondigli e il quartier generale del PKK, ma non è stato ancora verificato se i bombardamenti hanno causato o meno vittime. Ad ogni modo, hanno specificato le fonti, nella regione colpita non vi sono né civili né forze di sicurezza curde, i cosiddetti Peshmerga. Fonti mediatiche irachene locali hanno poi riferito, sulla base di fonti anonime, che i bombardamenti turchi hanno preso di mira anche le postazioni del Partito nei pressi della città di Amadiyah, anch’essa situata nel distretto di Dahuk, e droni turchi sono stati visti sorvolare soprattutto le città di confine tra Iraq e Turchia.
L’episodio del 24 febbraio giunge il giorno successivo a un bombardamento simile, verificatosi in un’area desertica al confine con la Turchia, anch’essa controllata dal PKK, ma non abitata da civili. Risale, invece, al 14 febbraio la dichiarazione del Ministero della Difesa turco, con cui è stata annunciata la fine dell’operazione militare “Artiglio di Tigre 2”, lanciata il 10 febbraio e volta a perseguire i militanti del PKK al confine, “in base al diritto di auto-difesa della Turchia”. A detta del Ministero turco, l’operazione ha causato l’uccisione di circa 50 membri del Partito. Tuttavia, anche dopo il 14 febbraio sono stati segnalati bombardamenti contro il Nord dell’Iraq.
Già nel 2020, il 17 giugno, la Turchia aveva dato inizio a un’altra operazione contro il PKK, soprannominata “Artiglio di Tigre”, con l’obiettivo di colpire i membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e le loro roccaforti nelle aree settentrionali irachene. Tale offensiva è stata classificata come la più lunga condotta da Ankara nei territori iracheni nel corso dello scorso anno. Questa ha causato anche la morte di almeno 6 civili iracheni, il primo dei quali morto a seguito di un bombardamento turco contro il distretto di Bradost, nel governatorato di Dahuk, il 19 giugno. In tale area la Turchia occupa più di 10 postazioni militari, istituite sin dal 1995.
Di fronte a tale scenario, Baghdad ha più volte accusato Ankara di violare la propria sovranità, portandola a convocare due volte l’ambasciatore turco in Iraq, Fatih Yildiz, e a consegnare un memorandum di protesta, con il fine di esortare la Turchia a porre fine a tali operazioni militari unilaterali e a simili violazioni. Il 18 giugno 2020 era stato altresì richiesto il ritiro delle forze turche e la cessazione di “atti provocatori”. L’Iraq, dal canto suo, si è più volte detto pronto a collaborare per salvaguardare la sicurezza dei confini, e considera le azioni turche una minaccia alla sicurezza dei civili e delle loro proprietà, visto che queste hanno talvolta preso di mira anche campi profughi, come quelli di Makhmur e Sinjar. Tuttavia, Yildiz aveva risposto affermando che, se Baghdad non avesse agito contro i ribelli, Ankara avrebbe continuato a contrastare il PKK, “ovunque esso si trovasse”.