Aggiornato il 14/02/21 at 09:46 pm
Agenzia DIRE — Radio Gardenya’ si chiama così, come la pianta, perché la parola si pronuncia in modo simile in tutte le lingue, dall’arabo al curdo. Già dal nome la ricerca di coesione tra comunità che è uno degli obiettivi di questa emittente gestita da e per rifugiati siriani. ‘Radio Gardenya’ trasmette dal 2017 dal campo per sfollati e rifugiati curdo-siriani di Arbat, nel Kurdistan iracheno, dove vivono quasi 10.000 persone, scampate alla guerra che ha distrutto il loro Paese d’origine.
Sulla frequenza locale 101.3 Fm – che grazie ai ponti radio raggiunge anche il nord dell’Iraq – si può ascoltare la voce di Sherin Mohammad, una donna curdo-siriana di 31 anni, scappata dalla città di Qamishli nel 2015, dopo l’avanzata del gruppo Stato islamico. All’agenzia Dire Sherin racconta di vivere ad Arbat dal 2016, e di far parte della radio dal 2018. “Ero un’insegnante” ricorda: “Ora lavoro come tecnica radiofonica, ma anche come giornalista, una cosa che ho sempre sognato di fare”.
È stata l’ong italiana Un ponte per (Upp), che opera nel campo con attività educative, artistiche e di empowerment femminile, a fondare Radio Gardenya con la collaborazione dell’Associazione mondiale delle radio comunitarie, Amrac. Nel corso di questi anni è stata sostenta da vari donatori, tra i quali anche l’Unione Europea, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e la Provincia autonoma di Bolzano.
Per la piccola sala di registrazione ad Arbat sono passate più di 10 persone, formate grazie a un corso di “peace journalism”. “Ora siamo solo in due, perché i fondi scarseggiano, ma abbiamo un giovane volontario, Yussef”, racconta Khalil, un ex insegnante di inglese adesso reporter di ‘Radio Gardenya’. “Teniamo programmi giornalieri di notizie, sport, arte, storia e ovviamente c’è la musica, di diverse provenienze geografiche”.
I temi più trattati sono quelli con una forte rilevanza sociale. Nei programmi sono evidenziate le diversità linguistiche, religiose e culturali e si parla di “peacebuilding” e di uguaglianza di genere. Intervengono “rifugiati, personale delle ong, ma anche persone della comunità locale e qualcuno di ritorno dalla Siria”, racconta Sherin.
“Uno dei nostri maggiori obiettivi è costruire una comunità forte, fatta di varie anime, ma improntata sulla coesione sociale. Poi certamente vogliamo dare informazioni corrette.
Visto che nel campo girano a fatica”.