Aggiornato il 16/01/20 at 06:33 pm
di Shorsh Surme — Mentre il conflitto tra l’Iran degli ayatollah e il presidente americano Trump è sempre più acceso, il governo iraniano continua con la sua brutale repressione nei confronti della minoranza curda.
Nella Repubblica Islamica si continua a morire: dall’inizio del nuovo anno sono stati impiccati 14 oppositori al regime teocratico; di questi ben sei erano attivisti politici curdi, rinchiusi nel carcere di Uremia e condannati a morte dell’autorità degli ayatollah con la solita accusa inimicizia con Dio.
L’lran è un mosaico di popoli ed etnie, cioè arabi, armeni, azeri, baluci, qashqai, ebrei, turkmeni e curdi, e a quest’ultimo popolo viene tolto il diritto di usare la propria lingua e la propria cultura.
La lotta del popolo curdo in Iran risale agli inizi degli anni Trenta. Il 22 gennaio 1946 i curdi dell’Azerbaigian proclamarono la Repubblica curda di Mahabad, presieduta dal giudice Qazi Mohamed e sopravvissuta solo 9 mesi. Non era un’impresa scellerata o irrazionale: i curdi, nel tracciare i confini della loro Repubblica, ricalcavano almeno nella parte iraniana quelli indicati dal Trattato di Sevres con la Turchia del 1920, il quale dopo le numerose rivolte curde dei decenni precedenti, finalmente riconosceva loro l’autodeterminazione e l’indipendenza.
Ma il trattato di Sevres fu tradito da quello di Losanna nel 1923. Il 24 luglio di quell’anno il Kurdistan fu diviso arbitrariamente tra quattro Stati: Iraq, Iran, Turchia e Siria. L’ayatollah Khomeini, dopo il suo ritorno in Iran nel 1979 e la creazione della Repubblica Islamica, presto si rivelò più repressivo e più feroce nei confronti delle minoranze del regno dello scià.
La nuova Costituzione della Repubblica islamica, approvata nel dicembre del 1979, conferì a Ruhollah Khomeini i poteri assoluti a vita come massima guida politico-religiosa. Il suo regime propugnò la diffusione dei principi del fondamentalismo islamico e sostenne la legittimità dell’azione terroristica nei confronti delle minoranze. Lo scopo era quello di eliminare qualsiasi influenza proveniente dal mondo occidentale e contemporaneamente ogni possibile opposizione interna ad un governo di tipo teocratico.
Infatti la prima uccisione eseguita è stata all’estero: riguardò il segretario del Partito democratico del Kurdistan dell’Iran (Pdki) Abdul Rahman Ghassemlou, a Vienna nel 1989. Nel 1990 fu eletto Sadegh Sharafkandi come successore di Ghassemlou, ma anche lui fu assassinato a Berlino il 17 settembre 1992.
In Iran ci sono 9 milioni di curdi, a cui il nuovo presidente Hassan Rohani, durante la sua campagna elettorale aveva promesso di dare una maggiore autonomia e libertà. Tuttavia la popolazione curda è consapevole che, al di là delle considerazioni di tipo politico, ciò che emerge in maniera preponderante è l’articolato apparato governativo del paese mediorientale, in cui il potere effettivo rimane saldo nelle mani del clero, in primis nelle mani dell’ayatollah Ali Khamenei. Dopo la rivoluzione islamica del 1979 infatti l’Iran è una teocrazia islamico-sciita, le cui strutture sono piuttosto complesse.
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