La storia dell’italiano morto in Kurdistan

Aggiornato il 13/01/19 at 08:17 pm

Il POST.IT—-Ieri il ministero degli Esteri ha confermato che Giovanni Francesco Asperti, un italiano originario di Bergamo, è morto in Rojava, nel Kurdistan siriano, dove si trovava dopo essersi unito volontariamente ai curdi per combattere lo Stato Islamico (o ISIS). La notizia della sua morte era stata data inizialmente da un comunicato diffuso dallo YPG, Yekineyen Parastina Gel, l’esercito popolare curdo, che diceva che Asperti era «rimasto martirizzato in uno sfortunato incidente il 7 dicembre 2018 a Derik», nella punta nord orientale della Siria. E ancora: «Durante tutta la sua vita nella lotta di liberazione, ha dato esempio di vera vita rivoluzionaria e ha sempre agito sulla base di questi valori fino all’ultimo momento della sua vita». È il primo volontario italiano morto sul fronte siriano contro lo Stato Islamico.

Giovanni Francesco Asperti aveva 53 anni ed era di Ponteranica, in provincia di Bergamo. Sui giornali locali si trovano oggi molte notizie della sua vita: era il più piccolo di tre fratelli, la madre era docente di matematica, il padre era medico ed era molto conosciuto nella zona di Bergamo per la sua attività nel mondo della cooperazione: faceva parte del gruppo che alla fine degli anni Sessanta diede vita al Manifesto. Lo zio, Giuseppe Chiarante, era stato senatore del PCI. Giovanni Asperti si era laureato con il massimo dei voti alla Bocconi in Economia e commercio, lavorava per una società che collabora con l’Eni e si era specializzato nella gestione delle operazioni di bonifica e dismissione degli impianti di estrazione del petrolio. Uno dei fratelli è filologo e preside della facoltà di Lettere e filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, e l’altro si è laureato alla Normale di Pisa. Giovanni Francesco Asperti era sposato e aveva due figli, di 13 e 14 anni.

Asperti era partito per il Kurdistan con l’intenzione di arruolarsi nello YPG lo scorso luglio, prendendo un volo da Malpensa, entrando in Siria dall’Iraq e facendo credere alla famiglia che fosse un viaggio di lavoro verso una piattaforma petrolifera del Kuwait. «A noi aveva assicurato che era un viaggio di lavoro», ha raccontato il fratello Stefano. «Poi, quelle missive in cui ci annunciava che si sarebbe arruolato con i curdi. Ci sono arrivate pochi giorni dopo la sua partenza e siamo rimasti spiazzati. Pensi che pochi giorni prima della partenza era rimasto ospite a casa mia per una settimana e non ho avuto la minima percezione di quello che stava per decidere. Una scelta di questo tipo lascia fratture alle spalle, dilania in qualche modo. Lui niente, nemmeno un indizio ha lasciato trasparire. (…) Posso solo dire che non è stata una scelta né di carattere religioso né ideologica. Ho l’impressione che si sia trovato in un momento di forte vuoto nella sua vita personale e che per riempirlo abbia cercato qualche ideale in cui non credeva fino in fondo, ma che gli è stato sufficiente per portarlo a questa decisione». Asperti era di sinistra, scrivono genericamente i giornali, ma a quanto si sa non frequentava ambienti che potessero politicamente ispirare il suo arruolamento tra i curdi. L’YPG, a cui Asperti si era unito, è la milizia curda che con l’appoggio dell’aviazione e delle forze speciali statunitensi ha condotto la maggior parte delle azioni militari contro l’ISIS in Siria. Secondo alcuni ha molti legami con il PKK, un’organizzazione paramilitare curda considerata un gruppo terroristico dal governo turco e dagli stessi Stati Uniti.

In Kurdistan Giovanni Francesco Asperti era conosciuto con il nome di battaglia di “Hiwa Bosco” e probabilmente era ancora impegnato nell’addestramento. In una delle lettere lasciate ai tre fratelli e alla moglie per comunicare la sua scelta, diceva: «Faccio conto di non tornare mai più, e non nel senso che vivrò là il resto dei miei giorni: nel senso che cercherò attivamente la morte liberatrice sul campo». Dopo la partenza non si erano più avute sue notizie. La moglie e il fratello a inizio agosto avevano presentato una denuncia per scomparsa ed era stata allertata l’unità di crisi della Farnesina. «Nel corso dei mesi poi ci sono stati dei tentativi per cercare di localizzarlo e metterci in contatto con lui, in collaborazione con le autorità, ma non ci siamo mai riusciti», ha detto il fratello. Non si hanno comunque altri dettagli sulla sua morte, ma sembra che non sia avvenuta durante un combattimento. «Per quel che ora so mio fratello è sepolto in Siria settentrionale, la salma verrà riesumata. Noi siamo in contatto con il consolato di Arbil in Iraq con il quale si opererà per il rientro in Italia della salma».

La storia dell’italiano morto in Kurdistan

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