Kurdistan: cambio di regole senza cambio di passo

Aggiornato il 23/11/18 at 09:12 pm

di Giovanni Parigi (https://www.ispionline.it) — l Kurdistan, con gli strascichi velenosi della guerra con Da‘esh, le tensioni col Governo Federale e la persistente crisi economica, deve affrontare un fitto groviglio di sfide sociali, politiche e istituzionali interne. A queste si aggiungono gravi difficoltà finanziarie e di sicurezza sia a livello nazionale che regionale. In primis, Erbil deve ristabilire i rapporti con Baghdad, trovando un accordo sugli stanziamenti di bilancio nazionale, le esportazioni petrolifere e le aree contese, cominciando dalla gestione della sicurezza; secondariamente, il nuovo governo regionale deve sciogliere i nodi della legge sulla presidenza curda e varare la costituzione; infine, Erbil deve evitare le ripercussioni delle crescenti tensioni regionali, che vedono da un lato la polarizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e l’Iran, dall’altro le iniziative sempre più aggressive di Ankara e Teheran contro i movimenti insurrezionali curdi con basi nella regione curda irachena. L’arduo compito graverà sul nuovo governo, in corso di formazione dopo le elezioni dello scorso settembre.

La formazione del nuovo governo

La formazione del nuovo esecutivo richiederà tempo; quanto meno, prima sarà da completare il governo federale a Baghdad. In ogni caso, a un mese di distanza dal voto, le trattative per la formazione dell’esecutivo sono ufficialmente cominciate. Si è infatti tenuto a Sulaymaniyya il primo incontro ufficiale tra rappresentanti del partito Democratico Curdo (KDP), dell’Unione Patriottica Curda (PUK) e del Gorran. Si tratta dei tre principali partiti, poiché alle elezioni per i 111 membri del parlamento regionale curdo, il KDP si è affermato con ben 45 seggi, mentre il PUK è tornato in seconda posizione con 21; il Gorran, invece, ha avuto un tracollo scendendo in terza posizione con 12 seggi.

A dire il vero, dopo nove mesi di trattative, nel giugno del 2014 questi stessi tre partiti formarono una coalizione di governo, che però ebbe vita breve e tormentata. Infatti, prima l’avvento di Da‘esh, poi le tensioni tra KDP e Gorran circa la presidenza regionale, portarono a una paralisi del parlamento. Di fatto oggi, anche se la situazione è ancora molto incerta, il Kurdistan sembra avviato su una riedizione di questo governo tripartitico. Infatti, all’opposizione si sono posizionati sia il partito anti-sistema della “Nuova Generazione” di Shaswar Abdulwahid, che ha ottenuto 8 seggi, che l’Unione islamica Curda o Yekgirtu, con 5 seggi. Dunque i tre principali partiti insieme avrebbero come minimo 78 seggi, ovvero un’ampia maggioranza, cui si aggiungerebbe presumibilmente un’altra decina di seggi da partiti minori e transfughi da altri partiti.

Del resto il PUK, da tempo, ribadisce che è intenzionato a formare nuovamente una coalizione col KDP, pur rimanendo più sfumato nei confronti del Gorran. Quest’ultimo, ufficialmente, si è riservato di entrare nella coalizione solo dopo aver verificato che il programma di governo sia compatibile con il proprio. La cosa è scontata, poiché in campagna elettorale il partito si era focalizzato su temi sbandierati da tutti come lo sviluppo economico, la lotta alla corruzione, il miglioramento dell’istruzione e la riforma dei peshmerga. In realtà, a decidere se il Gorran entrerà in governo non sarà il programma, ma il peso degli incarichi ministeriali e delle posizioni della amministrazione pubblica che otterrà. E qui casca l’asino.

Infatti, la posizione più interessante è quella del KDP: il partito della famiglia Barzani è certamente intenzionato a formare un governo di ampia coalizione ma, questa volta, cambiando le regole che da oltre un decennio lo legavano al PUK; infatti, intende assegnare gli incarichi di governo su base proporzionale all’esito del voto. A un osservatore occidentale la cosa sembra scontata ma, in Kurdistan, non lo è affatto.

L’Accordo Strategico

Il corrente equilibrio di poteri, e il conseguente assetto istituzionale, prese forma poco dopo la caduta del regime Ba‘th. Infatti, nell’aprile 2005 Jalal Talabani (PUK) fu eletto alla presidenza federale, mentre due mesi dopo Massud Barzani divenne presidente regionale curdo. Due anni dopo, in una crescente intesa, i due partiti cementarono la loro alleanza con l’Accordo Strategico, spartendosi non solo il potere politico ma anche il controllo di tutte le istituzioni civili e militari curde, nonché, l’economia. Di fatto si era così instaurata una diarchia monopolistica, fondata sulla alleanza di compromesso tra due antagonisti. È da notare che, nonostante il diverso peso politico dei due partiti, si trattò di una alleanza paritetica o inter pares, che prevedeva una divisione del potere fondamentalmente su base “uno a uno”. Inoltre, ciascuno dei due partiti, dietro la facciata democratica istituzionale, manteneva il pieno controllo esclusivo della propria area territoriale, la “verde” del PUK con centro Sulaymaniyya e la “gialla” del KDP con centro Erbil[1]. Peraltro, l’assetto di potere dettato dall’Accordo Strategico sopravvisse anche alla sconfitta elettorale subita dai Talabani nel 2013, quando in parlamento il Gorran superò il PUK con 24 seggi contro 18; ebbene, nonostante il Gorran fosse la seconda forza politica dopo il KDP, la vice presidenza fu comunque data al PUK e, di fatto, al Gorran fu impedito di ottenere ruoli effettivi nelle istituzioni e nella amministrazione.

Le tensioni

Però, negli ultimi anni, le relazioni tra KDP e PUK sono peggiorate a causa di una serie di eventi. Nell’autunno del 2017 il PUK ufficialmente appoggiò il referendum indipendentista promosso da Massud Barzani ma, in realtà, fu una scelta presa a denti stretti, accolta con malcelata contrarietà e forzata dal diffuso consenso popolare dell’iniziativa; la verità è che il come e il quando raggiungere l’indipendenza è ancora oggi un punto di disaccordo tra i Barzani e i Talabani. Di lì a poco, a dare un durissimo colpo alle relazioni tra i due partiti intervenne nell’ottobre 2017 la consegna di Kirkuk alle forze federali da parte del PUK. Per il KDP si trattò di un tradimento e, ancora oggi, i due partiti sono in forte dissidio per il controllo del consiglio provinciale di quella che era la “Gerusalemme curda”.

La competizione tra i due partiti esplose poi quando, per la prima volta dopo tredici anni, i partiti curdi non concordarono un candidato unico per la presidenza federale. A spuntarla fu Barham Salih, del PUK, scatenando le ire che KDP che l’accusò di aver lasciato che a scegliere il presidente fossero stati i partiti arabi. A quel punto, nella successiva formazione del governo federale, è stata lotta aperta. Il KDP è riuscito a spuntarla ottenendo tre ministeri e, al momento, sta cercando di evitare che un quarto ministero in probabile quota curda vada al PUK, spingendo per una assegnazione al Gorran.

Rompere le regole

Uno dei pilastri dell’accordo KDP-PUK era l’appannaggio della presidenza regionale ai Barzani; sta di fatto che, tra rinnovi ed estensioni, Massud Barzani è stato presidente dal 2005 al primo novembre 2017. Senonché, con le sue dimissioni, la carica presidenziale regionale è stata sospesa e i poteri sono stati divisi tra primo ministro, parlamento e magistratura. Dunque, considerato che invece il PUK controlla la presidenza federale, dal punto di vista del KDP non c’è equilibrio e dunque l’accordo andrebbe rivisto. In realtà, ci sono anche altre considerazioni da fare, che allargano la prospettiva della problematica e la approfondiscono. Innanzitutto, il KDP oggi controlla quasi metà del parlamento e ha più del doppio dei seggi del PUK – ovvero 45 contro 21. Per raggiungere la maggioranza gli servono solo 11 seggi, facilmente raggiungibili grazie a probabili transfughi da partiti minori e ai seggi delle minoranze, tradizionalmente filo-KDP.

Su queste basi, il rapporto paritario uno a uno col PUK sta molto stretto.

Secondariamente, dal punto di vista del KDP, il PUK ha violato l’accordo cedendo Kirkuk – a quanto pare – senza consultarsi con Barzani e poi ha insistito per l’elezione del proprio candidato alla presidenza federale.

Nella apparente decisione del KDP di forzare l’accordo, ci sono poi motivazioni ancora più profonde. Il partito dei Barzani, quanto a seggi in parlamento, da più di un decennio è in lenta progressione, ha un saldo e pieno controllo della vita politica nella sua area e si è sempre mantenuto coeso; di contro, il PUK da un decennio sta subendo una emorragia di voti, causata dalla nascita di partiti d’opposizione diffusi nella sua area, come il Gorran nel 2009 e Nuova Generazione nel 2018. Inoltre, il partito dei Talabani appare poi diviso tra la famiglia Talabani, il segretario generale del PUK Kosrat Rasul Ali e Sheikh Jafar, comandante dei peshmerga.

In realtà, dev’essere sottolineato che il KDP più di far saltare l’accordo col PUK sta cercando di forzarlo, cambiandone le regole. Infatti, la narrativa ufficiale del partito dei Barzani è quella di “applicare le regole della democrazia”, dunque dividendo il potere non più su base paritaria col PUK, ma su base proporzionale con tutti gli altri partiti. Di fatto, il vero obiettivo è quello di diluire il potere del PUK all’interno di una coalizione di governo più ampia. A tal fine, il KDP sta cercando di far entrare nella coalizione di governo il Gorran e il partito islamista Komal (7 seggi) addirittura prendendo in considerazione l’idea di avere due vice-primi ministri – uno KDP e uno Gorran – oppure di dare al PUK l’irrilevante posizione di presidente del parlamento.

Il PUK, che vede chiaramente il rischio di perdere peso politico, si è già detto contrario sia al raddoppio della vicepresidenza sia alla assegnazione di incarichi di governo sulla base proporzionale e vorrebbe incarichi di rilievo come la vice-presidenza e la presidenza del parlamento, nonché i ministeri degli interni, petrolio, finanze e peshmerga. Un po’ troppo, se effettivamente il governo fosse fatto su base proporzionale.

Dunque il ruolo del Gorran è diventato centrale e rappresenta una doppia minaccia per il PUK; infatti, da un lato, è il suo principale concorrente in parlamento, dall’altro, rafforzandosi con l’insediamento al governo, il Gorran andrebbe a togliere voti solo a PUK, non essendo di fatto presente nelle province sotto controllo del KDP. Dev’essere però detto che il Gorran, oggi, è l’ombra di sé stesso. Dalle ultime elezioni è uscito dimezzato, ha una leadership incerta e contestata e sta perdendo consensi a favore del nuovo partito anti-sistemico Nuova Generazione. Infine, non ha né le milizie né le fonti di reddito di KDP e PUK. Dunque per il KDP è perfetto per una alleanza strumentale.

E dunque?

Innanzitutto, KDP e PUK sanno di non potersi eliminare a vicenda, pena l’ennesima inconcludente e disastrosa guerra civile. Secondariamente, Barzani e Talabani sanno bene che senza un accordo politico tra di loro, invece di una regione semi-autonoma, si ritroverebbero con due fragili potentati, vassalli di vicini più forti. Però è indubbio che il KDP, da un lato, si senta politicamente – e non solo – più forte del PUK e, dall’altro, nutra una sorta di risentimento nei confronti del partito dei Talabani che avrebbe “approfittato” dell’Accordo Strategico.

Dunque, escludendo l’ipotesi di un collasso istituzionale, rimangono due alternative: un accordo di governo tra KDP e PUK o un governo a guida KDP che escluda il PUK.

Oggi, il KDP sta spingendo per la prima delle due ipotesi, cercando però di indebolire il PUK, “diluendone” il peso politico con l’ingresso del Gorran nella coalizione di governo. Il PUK, dal canto suo, cercherà nel Gorran una sponda per limitare il KDP, come già successo nel precedente governo anche se con effetti contrastanti. Sicuramente, le dinamiche parlamentari saranno molto movimentate.

L’alternativa, poco probabile quanto fattibile, è quella di isolare il PUK, cercando di formare un governo a guida KDP solo col Gorran e il supporto di partiti minori e singoli parlamentari. Si tratterebbe però di un governo fragile e inefficace, poiché nelle province controllate dal PUK lo “stato profondo”, ovvero i peshmerga, l’amministrazione pubblica e l’economia rimarrebbero comunque saldamente nelle mani dei Talabani. In ogni caso, al Gorran sarebbe destinato un ruolo secondario, strumentale agli interessi di quelli che rimangono saldamente i due pesi massimi della politica curda.

In conclusione, come nelle migliori tradizioni politiche mediorientali, per il nuovo governo curdo c’è da aspettarsi un lungo braccio di ferro, e magari anche qualche sorpresa, non necessariamente piacevole.

 

Note

[1] La divisione in area “verde” e “gialla” nasce con gli accordi di Washington nel 1997, che posero fine alla guerra civile scoppiata nel 1994 tra KDP e PUK.

Fonte: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/kurdistan-cambio-di-regole-senza-cambio-di-passo-21632

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