In Kurdistan tra gli yazidi il popolo del Nobel per la pace

Aggiornato il 15/10/18 at 10:13 pm

Andrea Zannini – Chi sono gli yazidi, popolo dimenticato dalla storia e perseguitato, a cui appartiene Nadia Murad, Nobel per la pace 2018? In Kurdistan abbiamo visitato i loro campi profughi e la loro città sacra. Gli yazidi sono uno dei tanti popoli che vivono nelle pieghe del passato e di cui in Europa ci si accorge solo quando l’attualità li spinge sotto i nostri occhi

L’anno scorso, mentre ero in visita alla spedizione archeologica Terra di Ninive, dell’università degli studi di Udine, in Kurdistan, assieme a Daniele Morandi Bonacossi, che guida i nostri lavori in quella che era l’antica Mesopotamia, abbiamo visitato i due campi profughi yazidi di Duhok che accolgono circa 28 mila persone. Il campo profughi di Essian è una distesa senza fine di tende, gruppi di decine di bambini che rincorrono un solo pallone, un mercatino strapieno di generi di prima necessità, scarpe usate e qualche bancarella di abiti da sposa.

Nel 2014 l’espansione territoriale dell’Isis era arrivata nella regione dello Sinjar, Iraq settentrionale, a ovest di Mosul, da sempre abitata dagli yazidi, un popolo di lingua curda. Lo stato islamico iniziò contro di loro una terribile pulizia etnica, uccidendo gli uomini e sequestrando migliaia di ragazze, per farne schiave sessuali. Un ponte aereo prelevò migliaia di yazidi dalle montagne dello Sinjar e impedì che le dimensioni del genocidio fossero ancora maggiori. Gli operatori umanitari che ci hanno accompagnato nel campo profughi ci hanno presentato alcuni dei pochi giovani uomini rimasti e ci hanno discretamente indicato alcune delle ragazze che, come Nadia Murad, sono riuscite a sfuggire ai massacratori di al-Baghdadi.

La religione e la cultura yazida sono una eccezionale miscela di elementi animisti e delle religioni del Libro. In quanto religione esoterica il nucleo dello yazidismo rimane escluso ai non iniziati. Sostanzialmente essi credono in un solo Dio, la cui manifestazione sono sette angeli, il principale dei quali ha le sembianze di un pavone. L’Angelo Pavone è all’origine del bene e del male. Per vari motivi, i mussulmani ritengono gli yazidi “adoratori del diavolo” e nel passato i regimi islamici più fondamentalisti li hanno perseguitato. Gli yazidi, invece, in quanto sincretisti sono invece tolleranti, anche se rigorosamente endogamici. Le donne yazide possono cioè sposare solo uomini della loro religione. Il discusso caso di una ragazza yazida lapidata perché convertitasi all’Islam fece nel 2007 il giro del mondo.

Dopo il campo profughi di Essian il nostro accompagnatore curdo, che non ha mai voluto scendere dalla macchina per non mischiarsi agli yazidi, ci ha portato fino al mausoleo di Abi ibn Mustafa, la San Pietro della religione curda, qualche decina di chilometri da Duhok. Abbiamo visitato i luoghi dove una volta all’anno gli yazidi celebrano il loro grande pellegrinaggio: un posto umile ma ricco di spiritualità, per un popolo fatto di piccole comunità che vivono di agricoltura.

Il motivo era lavorare al progetto che la regione Friuli Venezia Giulia ha lanciato nel 2016, “Diamo un futuro agli yazidi”, e che il Dipartimento di studi umanistici e del patrimonio culturale dell’ateneo udinese conduce assieme all’università di Trieste. Avevamo in programma di mappare il patrimonio culturale yazida dello Sinjar, ora recuperato all’Isis, in particolare i templi religiosi rasi al suolo e che punteggiano i villaggi del Kurdistan iracheno. Ma i nostri due ricercatori – Costanza Coppini e Alberto Savioli – dal Kurdistan non hanno mai potuto raggiungere il Sinjar: l’area non è ancora considerata sicura per gli occidentali. Ciononostante l’università di Udine sta tracciando le distruzioni dei santuari yazidi sulla base delle informazioni fornite dalla stessa comunità e da organizzazioni non governative operanti nel territorio. I dati serviranno alla Commissione d’inchiesta dell’Onu che sta indagando sui massacri e sul genocidio culturale di questo popolo arcaico.

Incertezza per il futuro, paura, disillusione. Questi i sentimenti che ci hanno trasmesso tutti gli uomini yazidi con cui abbiamo parlato. Nel distretto di Mosul liberato dai fondamentalisti sono rientrate solo poche migliaia di persone, mentre decine di migliaia si sono aggiunte alle comunità yazide che vivono in Georgia e Armenia, e in Germania. La diaspora yazida continua nei secoli, ed è per questo che il riconoscimento di Nadia Murad ha un significato storico. Ci sarà un futuro per gli yazidi? —
Fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2018/10/14/news/in-kurdistan-tra-gli-yazidi-il-popolo-del-nobel-per-la-pace-1.17354211

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