Aggiornato il 10/06/18 at 02:29 pm
di PASQUALE RAICALDO – La Repubblica.it
Zina voleva diventare medico. Era il suo sogno, cullato da bambina. Ma in nel Kurdistan iracheno, nella piccola Sinjar, i sogni possono…… diventare chimere, soprattutto se si appartiene a una minoranza etnica, la comunità yazida. E allora Zina Hamu, che oggi ha ventidue anni, ha deciso di fare la fotogiornalista. Documentando il genocidio del suo popolo per opera dell’Isis. E soffermandosi, in particolare, sulle violenze perpetrate nei confronti delle ragazze.
Arriva a Ischia per ricevere il Premio internazionale di giornalismo per i diritti umani e nella sala azzurra del Regina Isabella, tra i flash dei fotografi, racconta: “Quattro anni fa sono stata costretta a fuggire dalla mia casa al campo profughi di Khankem, tra le montagne del Kurdistan iracheno, dove ho aderito al progetto di fotogiornalismo promosso dall’Unicef (Photographic tecnicques to empower Yazidi girl) che, insieme ad altre otto ragazze yazide mi ha permesso di diventare portavoce della sofferenza di un intero popolo”. Un progetto coordinato dalla giornalista curda Shayla Hessami che insieme all’emozionata Zima Hamu ha risposto, in uno degli eventi clou della trentanovesima edizione del Premio Ischia Internazionale di giornalismo, alle domande dei giornalisti.
Ho assistito a barbarie inanerrabili – racconta la giovane irachena – e vorrei dire al mondo che il genocidio continua. Molta gente nel mondo non gode dei diritti umani, con il giornalismo e soprattutto attraverso i foto-racconti possiamo portare a conoscenza di questi genocidi e dare voce a migliaia di persone che vivono queste sofferenze. Tra loro ci sono anche molte donne e bambini”.
Le foto sono istantanee dell’orrore, ma raccontano anche la resilienza di un popolo che resiste e che si mostra, orgoglioso, alle giovani fotogiornaliste yazide come Zina, protagoniste del progetto di fotogiornalismo che ha portato anche alla realizzazione di una mostra fotografica esposta al MAXXI di Roma. “Non avevo mai pensato di poter diventare giornalista – spiega, alle spalle il mare turchese della baia di Lacco Ameno – ma credo di avere un dovere morale, oggi: documentare quel che accade, il mondo non sa che il genocidio della mia comunità non si è interrotto. Le immagini possono, a volte, essere più potenti della parola. Continuerò a studiare per fare questo, non ho dubbi”. Applausi convinti.
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