Aggiornato il 03/05/18 at 04:31 pm
di Mario Sommossa
In questi giorni cade il centesimo anniversario dell’accordo Sykes-Picot attraverso il quale Francia e Gran Bretagna decisero gli attuali confini del Medio Oriente………
Il Presidente della Regione Curda dell’Iraq, Massoud Barzani ha approfittato della ricorrenza per rilasciare una lunga dichiarazione con la quale, dopo aver fatto un quadro dell’attuale disastrata situazione in tutta l’area, afferma che quell’accordo va definitivamente sepolto e si ha bisogno di una ridefinizione dei confini.
Comprensibilmente, si concentra sugli eventi che hanno coinvolto il popolo curdo e rileva come l’averlo diviso tra vari Stati abbia portato solo a guerre, tragedie, instabilità ed estremismi di varia natura. Cita, in particolare, quel che è capitato ai curdi iracheni che hanno subito la distruzione di 4500 villaggi, l’assassinio o la scomparsa di più di duecentomila persone e, per finire, la campagna di sterminio Al Anfal, voluta da Saddam Hussein, con il suo apice nella gassificazione di Halabja.
Nonostante il trattato di Sevres avesse immaginato la creazione di un loro Stato, il successivo trattato di Losanna del 1923 preferì salvaguardare gli interessi turchi, iraniani e delle potenze coloniali dell’epoca, impedendo che uno Stato Curdo potesse nascere. Da allora, il maggior numero di curdi vive all’interno della Turchia, una gran parte è cittadina iraniana, tra i cinque e i sei milioni sono iracheni e un numero più piccolo, stimato attorno ai due milioni, ha i propri villaggi all’interno della Siria. In totale, i curdi che vivono nell’area sono oggi tra venticinque e trenta milioni di persone.
Il territorio che abitano è un grande gruppo montagnoso che si estende fra i quattro Paesi sopra menzionati. Proprio quelle montagne hanno favorito nel corso dei secoli un relativo isolamento e il mantenimento di un’identità del tutto peculiare. L’origine degli attuali curdi vien fatta coincidere con il popolo dei Medi e la capitale della Regione Irachena, Erbil, è la vecchia Arbela (ove sembra si fosse rifugiato e morisse Dario III dopo la sconfitta subita da Alessandro Magno), città la più antica al mondo tra quelle costantemente abitate. Qualcuno sostiene che curdo fosse il profeta Zarathustra e che, secoli più tardi, tra i curdi nacquero la musica e il pensiero mistico dei Sufi. Etnicamente si distinguono sia dagli arabi sia dai turchi, essendo indoeuropei come gli attuali iraniani. Anche la lingua, per quanto differenziata tra i curdi stessi, ha le stesse radici linguistiche del Farsi. Esistono notevoli differenze tra i vari dialetti curdi che hanno almeno quattro differenti filoni (il Sorani parlato nel sud e nel sud-est e il Kurmanji parlato nel nord e nord-ovest iracheni sono i più diffusi) ma ogni curdo, pur parlando il proprio dialetto, riesce comunque a intendersi con gli altri. Anche dal punto di vista religioso non c’è unanimità e questo forse spiega la grande tolleranza che questo popolo sa tuttora dimostrare nell’accettare credi diversi. La maggioranza è islamico-sunnita ma esistono importanti minoranze di sciiti, yazidi, ebrei, cristiani e perfino zoroastriani.
Purtroppo, il loro essere situati nel bel mezzo di due imperi spesso in lotta tra loro, quello ottomano e quello persiano, ha fatto si che le varie tribù si trovassero frequentemente l’una contro l’altra in nome e per conto delle vicine potenze dominanti. Indicativo è che, all’inizio del 900, gran parte dei massacri di armeni fosse stato attuato da reparti curdi arruolati nell’esercito turco ma che molti degli armeni superstiti trovassero invece rifugio e ospitalità tra altre tribù curde stanziate negli attuali Iraq e Iran.
Nonostante l’indipendenza e la sovranità del Kurdistan sia un obiettivo dichiarato da molti capi tribù in varie epoche (in tempi recenti anche dall’eroe nazionale Mustafà Barzani, padre dell’attuale Presidente della Regione curdo irachena), l’unico simulacro di stato indipendente si è avuto con la repubblica di Mahabad immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, in territorio iraniano. Questo Stato fu allora sostenuto dall’Unione Sovietica al fine di mantenere un proprio “piede” nella regione. Durò un solo anno e presto le truppe di Teheran ristabilirono il loro ordine.
I conflitti interni tra curdi sono stati così frequenti che non finirono con la caduta dell’impero ottomano e ebbero luogo anche durante la guerra Iran — Iraq ove alcuni fiancheggiarono gli iraniani. Successivamente, nel 1994, ci furono scontri cruenti tra i sostenitori del partito di Barzani, il Partito Democratico del Kurdistan e l’Unione Patriottica del Kurdistan guidata da Jalal Talabani. I primi controllavano la zona della regione confinante con la Turchia, i secondi quella verso l’Iran.
Solamente nel 1998, su pressione degli Stati Uniti che garantivano già dal 1991 la no-fly zone, si arrivò a un accordo tra i due. Rimasero per un po’ attivi due Governi, ciascuno con una sovranità territoriale limitata e una propria milizia ma si battevano insieme contro Saddam Hussein. Nel 2004, con la caduta del regime baathista e sempre su pressioni americane, fu creato un Governo unico a Erbil con la partecipazione di tutti i partiti curdi. I due maggiori decisero anche di presentarsi con un’unica lista alle elezioni per il Parlamento iracheno e si divisero i compiti: Talabani sarebbe diventando presidente di tutto l’Iraq mentre Barzani lo sarebbe stato della regione curda. Il Primo Ministro di Erbil sarebbe appartenuto, alternativamente, all’uno e all’altro.
Quell’accordo, formalmente ancora in vigore seppur con molte incertezze, ha consentito alla Regione un formidabile sviluppo economico e una pacificazione del territorio tale da attirare anche vacanzieri e investimenti da diversi Paesi del golfo e dal sud del Paese. Pure molti curdi che negli anni trascorsi in esilio avevano fatto fortuna son rientrati portandovi capitali freschi. La scoperta e lo sviluppo di pozzi di petrolio e di grandi riserve di gas da un lato facilitarono la rinascita ma, dall’altro, furono la causa principale dei forti dissidi con Baghdad. La Costituzione irachena stabilisce per lo Stato una forma federale, ma sull’interpretazione del grado di autonomia e sulla proprietà nominale delle fonti energetiche sono andati aumentando i contenziosi con la capitale. Il Governo Regionale Curdo (KRG), un po’ per garantirsi un transito autonomo del petrolio verso il mare e un po’ per bilanciare il potere di Baghdad egemonizzato dagli iraniani, si è stretto sempre di più alla Turchia favorendone commerci e investimenti fino ad accettare senza reagire frequenti sconfinamenti aerei e bombardamenti turchi sul proprio territorio contro i guerriglieri turco-curdi del PKK.
L’egemonia turca sulla Regione non piace agli iraniani che, forti d i loro precedenti rapporti con il PUK ne hanno favorita la scissione quando questi hanno stretto rapporti con il PDK e, recentemente, hanno benvenuto la ricomposizione avvenuta lo scorso 17 maggio tra lo scissionista Goran e il PUK rimasto.
Fino a poco fa, l’alleanza tra PUK e PDK costituiva la maggioranza nel Parlamento di Erbil e Goran era il maggior partito di opposizione. Ora, dopo la riunificazione, quella maggioranza che garantiva stabilità è diventata incerta. Il PUK ricomposto gode oggi di 42 parlamentari, lasciando al PDK di Barzani solamente 38 seggi. Se quest’ultimo vuole continuare a governare o trova un nuovo accordo oppure ha bisogno dei voti di altri piccoli partiti, quali gli islamici e cristiani, che con i loro complessivi quattordici seggi potrebbero sostituire i voti del PUK.
Comunque andranno le cose, nuovi scenari ed equilibri potrebbero nascere sia all’interno del Kurdistan stesso sia nei rapporti con Baghdad. Una volta di più, Iran e Turchia si confrontano usando i curdi per interposta persona.
E’ anche per rispondere a questi recenti eventi che Barzani ha pubblicato la sua pesante critica all’accordo Sykes-Picot e rilanciato l’idea dell’indipendenza curda. Nelle settimane precedenti aveva gia’ lanciato l’idea di un referendum sull’indipendenza ma il progetto, partito con l’obiettivo principale di fare pressioni su Baghdad per il negoziato in corso, assume oggi anche la funzione di rimediare, attraverso l’appello nazionalista, al forte rischio di nuove fratture intestine. Rivolgersi direttamente alla popolazione con una parola d’ordine patriottica e identitaria potrebbe servire a impedire che le divergenze tra i due maggiori partiti li portino a seppellire definitivamente il loro accordo. Tuttavia, anche nel caso cio’ non bastasse, il volere questo referendum farebbe di Barzani il difensore del diffuso sogno di indipendenza, attribuendo agli altri il ruolo di “nemici della Patria”.
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