Poveri curdi, per salvarsi gli tocca vendere il petrolio alla Turchia

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Aggiornato il 03/05/18 at 04:31 pm

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di Mario Sommossa
Non c’è pace per i curdi
Ai contenziosi aperti con Baghdad dal momento della formazione del nuovo Iraq, alla guerra in corso contro i terroristi del Daesh che erano arrivati a soli 50 km da Erbil, al problema sociale ed economico dovuto alla presenza di circa due milioni di rifugiati su una popolazione …..

autoctona di poco più di cinque milioni, si è aggiunta oramai da qualche tempo una frattura sempre più grande tra i due maggiori partiti del Paese. Ognuno di loro è maggioritario nelle regioni che circondano le due città più importanti: Erbil, la capitale e sede del Governo, ove domina il PDK e Suleimanya, nell’est del Paese, zona a maggioranza del partito di Talabani, il PUK, e del gruppo (scissionista) Goran.
Il premier iracheno Haider al-Abadi
Mentre il primo ministro iraqeno al Abadi a Baghdad cerca di formare un nuovo governo scevro dalle influenze settarie e tribali (per ora senza riuscirci e con il rischio di essere sfiduciato), e lo fa soprattutto per combattere la corruzione diffusissima, a Erbil i due maggiori partiti sono oramai ai ferri corti. L’ultima spaccatura è se entrare o no nel nuovo Governo, sempre che esso nasca. Il KRG (il Governo Regionale Curdo), controllato dal PDK, si dichiara contrario ad accettare di farne parte se non si risolve a proprio favore il contenzioso sulla spartizione del petrolio curdo. Al contrario, il PUK ha già annunciato che quella decisione non li rappresenta e che, se i ministeri offerti saranno di loro gradimento, accetterà di partecipare al nuovo esecutivo.
A dirla tutta, le ragioni del dissidio partono da molto più lontano. Il presidente Barzani, supportato dal suo partito, aveva optato per rapporti collaborativi con Ankara, se non altro per marcare in modo inequivocabile la propria autonomia dal resto dell’Iraq. D’altra parte, per la regione curda senza sbocchi al mare la possibilità di vendere il proprio gas e petrolio verso il resto del mondo aveva solo tre scelte: il sud dell’Iraq, l’Iran o, appunto, la Turchia. Il disaccordo sull’interpretazione della Costituzione in merito alla proprietà dei nuovi pozzi di gas e petrolio rendeva la prima scelta impraticabile. Le sanzioni internazionali contro l’Iran e il fatto che l’Iran prediligesse il rapporto con Baghdad facevano si che anche quella strada fosse chiusa. Non restava che rivolgersi ad Ankara.
La cultura della morteE’ stato, infatti, attraverso la Turchia che Erbil ha potuto cominciare a vendere le proprie materie energetiche e iniziare così la costruzione di una propria economia, indipendente dal resto del Paese. In cambio ha dovuto accettare che fossero le aziende turche a diventare quasi monopoliste nella ricostruzione della regione dopo i lunghi di guerra civile contro Saddam Hussein. I Barzani han dovuto altresì accettare senza batter ciglio che i turchi sconfinassero continuamente con i loro aerei e con l’artiglieria sulle montagne curde all’inseguimento dei guerriglieri del PKK che lì si rifugiavano. Nel frattempo, seppur con fasi alterne, Erbil continuava le negoziazioni con la capitale e, prima del crollo del prezzo di gas e petrolio, le finanze del Kurdistan iracheno, erano nutrite sia dal denaro in arrivo da Baghdad sia dai proventi della vendita del petrolio. Tutto ciò aveva consentito una veloce rinascita sociale ed economica della regione, divenuta in breve tempo una terra promessa per investitori di tanti Paesi.
La guerra e la caduta dei prezzi petroliferi hanno cambiato le carte in tavola svuotando le casse di Erbil e costringendo il Governo locale, a questo punto in rottura anche con Bagdad, a piatire l’aiuto finanziario di Erdogan attraverso le banche turche. I rapporti diventati per ovvi motivi pessimi con il PKK e con il partito dei curdi di Turchia guidato dal loro carismatico leader Demirtas hanno reso vano per Barzani il tentativo di porsi come mediatore tra Ankara e la minoranza curda di quel Paese. Quella del ruolo di mediatore era l’unica carta che, nei fatti, avrebbe consentito al KRG di negoziare con la Turchia quasi a parità di condizioni e senza esserne totalmente dipendente e succube. Svanita anche quella possibilità, il governo curdo di Erbil, è caduto dalla padella nella brace: nel tentativo di sfuggire al controllo degli arabi iracheni, si sta viepiù’ trasformando in una colonia turca.
Chi, oltre ad Al Abadi, non è per nulla contento di questa piega degli eventi è l’Iran che, finalmente uscita dal giogo delle sanzioni, vuole giocare le proprie carte anche contro lo storico nemico turco. Da sempre in buoni rapporti con il PUK di Talabani, briga da tempo per impedire che la Turchia metta le proprie mani sul Kurdistan iracheno e ora intravede finalmente la possibilità di disturbare, se non addirittura annullare, le manovre di Ankara sulla regione.
Ai turchi o all’Iran, a chi devono vendere il loro petrolio i curdi?
Poiché l’oleodotto che dal Kurdistan entra in Turchia non è in grado di trasportare tutto il petrolio producibile, Teheran ha lanciato la proposta di un secondo oleodotto che dall’est curdo arrivi nel nord iraniano. Ciò consentirebbe ai curdi iracheni di avere un’alternativa di sbocco rispetto ad Ankara e di poter giocare ancora su più di un cavallo, cosa che, dalla fine della guerra, avevano sempre cercato di fare ma che, con le crisi attuali, era diventata impossibile. Anche per l’Iran si tratterebbe di una soluzione positiva sia per i motivi politici sia per quelli economici. Infatti, i giacimenti iraniani sono tutti nel sud del Paese e quindi già vicini ai porti d’imbarco mentre la zona nord, lontana centinaia di chilometri dai pozzi, potrebbe svilupparsi più facilmente con il petrolio in arrivo da un territorio più vicino, lasciando così il proprio disponibile per l’esportazione. Ben quattro raffinerie, di cui la più grande vicino a Teheran, si trovano nel nord del Paese e potrebbero facilmente assorbire e lavorare il petrolio curdo.
Gli uomini del partito di Talabani, forti del fatto che molti dei pozzi si trovano in zone da loro controllate, hanno già sposato questa soluzione. Se Il PDK e quindi il KRG concorderanno su questa strada, sarà forse possibile diminuire i dissidi interni con l’altro partito curdo e rendere più facile il negoziato con Bagdad, anche grazie all’intermediazione iraniana. Se, al contrario, il Governo di Erbil si opporrà o tergiverserà, significherà che la stretta turca è divenuta così forte da non potersene più sottrarre, quali che siano gli interessi a lungo termine della Regione.
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