Aggiornato il 03/05/18 at 04:31 pm
di Enrico Oliari
ALTURA DI QARRAH – La via che porta all’avamposto dei peshmerga sulla montagna che domina la vallata del ……
Daesh, è tortuosa e piena di curve secche, come lo è la storia, il presente e – cerchiamo di essere realisti – l’immediato avvenire del popolo curdo.
Kemal Kirkuki lo incontro con il mio team di Notizie Geopolitiche nel suo ufficio in zona di guerra. È il capo delle pubbliche relazioni del Partito democratico, in una realtà dove le formazioni politiche sono le istituzioni: ha la divisa dei peshmerga, ma non ha i gradi, perchè lì conta più di un generale. Anzi, è “il generale”. E comanda il “Settore 5” della zona strategica di Kirkuk.
L’intervista è chiara, risponde con delicatezza ma con lucida determinazione alle molte domande, ha sul corpo i segni della guerra. Ma è sul fuoristrada, dove ci separano due kalasnikov messi lì come se fossero due passeggeri, a farmi capire come stanno le cose.
Tutto si riassume in una parola magica: petrolio. Che, nero finché si vuole, è sempre oro, e come tale tutti cercano di metterci sopra le mani.
Anche il Daesh, al netto dei molti slogan, della dialettica jihadista e del terrorismo, non è altro che uno “stato” che cerca di avere il suo petrolio, tanto che i combattimenti più duri sono stati nella regione di Mosul e di Kirkuk, dove le strutture dei pozzi sostituiscono nel paesaggio infinito gli alberi che il deserto non offre.
“Dove ci troviamo ora – mi spiega – fino al 2014 c’era il Daesh. Abbiamo preso questa zona combattendo, e non la molleremo per nessun motivo“.
– Beh, per nessun motivo… La regione di Kirkuk non è in Kurdistan, è in pieno Iraq.
“Kirkuk è semrpe stata abitata dai curdi, deportati come i turcomanni da Saddam Hussein per sostituire la popolazione con gli arabi. E siamo noi peshmerga ad aver lottato e sparso sangue per liberarla dal Daesh. E ce la terremo per il nostro Kurdistan indipendente, a costo di fare un’altra guerra“.
-Un altra guerra contro chi?
“Agli iracheni non cediamo questa terra. Se non funzionerà la diplomazia, combatteremo come abbiamo combattuto fino ad oggi“.
– Forse è per questo che Baghdad non vi consegna tutte le armi e gli equipaggiamenti destinati a voi dalla coalizione anti-Daesh. Non crede?
“Qui in prima linea non arriva ciò che ci manda la coalizione, ma siamo stati noi, non gli iracheni, a fermare l’Isis. E continueremo a combatterlo, ma abbiamo bisogno di armi, di equipaggiamenti e soprattutto di fondi. Baghdad non sta facendo un gioco pulito, ma faccio notare l’esercito iracheno si è praticamente dissolto davanti all’avanzata dei jihadisti, persino dandosela letteralmente a gambe e lasciando le auto con le chiavi nel quadro. Io ho detto alla coalizione che non accetterò neanche un proiettile che sia passato per Baghdad, perchè già in passato Usa e Nato hanno dato armi agli iracheni, e sono finite nelle mani del Daesh, non a noi“.
– Perchè il Daesh è tanto forte? Immagino che abbia risucchiato la nomenklatura di Saddam Hussein, resa disoccupata dagli americani…
“In realtà le popolazioni delle città e dei villaggi arabi sunniti si sono unite al Daesh. A Mosul sono entrati 300 jihadisti, del tutto insufficienti per prendere il controllo di una città di tali dimensioni. Qui nella zona i villaggi arabi sunniti, anche quelli che abbiamo conquistato, si sono schierati col Daesh. Ed in quelli curdi abbiamo arrestato dei collaborazionisti. Ma non si dica che noi commettiamo barbarie o che facciamo giustizia sommaria: tra quattro mesi riprenderemo l’avanzata e valuteremo chi sarà da processare, non da passare per le armi“.
– Ci sono organizzazioni internazionali che vi accusano di eliminazioni etniche. Pensava a questo?
“Sono cose inventate, prive di fondamento. D’altronde vi sono organizzazioni, come la Croce Rossa, con cui non vorrò avere rapporti fino a quando si rifiuteranno di definire il Daesh un’organizzazione terroristica, parlando semplicemente di “opposizione armata”“.
Con lui arrivo all’avamposto dei pesmerga, sull’altura di Qarrah, che domina una vallata, un panorama mozzafiato a 360 gradi. È un tripudio di peshmerga, che accorrono per il loro “generale”, già ferito in battaglia e che soprattuto li ha portati fino lì e che li porterà oltre.
Sotto un silenzio che tradisce, qualche rimbombo di artiglieria leggera a distanza. Terra del Daesh. E forse di un’altra, prossima, guerra.
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Del team di Notizie Geopolitiche facevano parte Giuliano Bifolchi ed Ehsan Soltani.
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