Aggiornato il 03/05/18 at 04:38 pm
di Giuseppe Acconcia
È di nuovo guerra nel Kurdistan turco. La tregua elettorale è durata poco, l’esercito di Ankara ha ripreso i bombardamenti contro i kurdi in Turchia e nel Nord dell’Iraq. Nella città di Silvan è stato indetto il sesto….. coprifuoco consecutivo; internet e telefoni sono bloccati mentre un giovane di 22 anni è stato ucciso dalla polizia. Due ragazzi di 20 e 18 anni, Dogan e Cetin, militanti del movimento giovanile del Pkk (Ydg-h), sono stati raggiunti da due proiettili al petto a Yuksekova e sono morti sul colpo. Eppure per il leader carismatico del Partito democratico dei Popoli (Hdp), Salahettin Demirtas, il rinnovato ingresso in parlamento della sinistra filo-kurda dovrebbe aprire la strada a una nuova fase. «Il processo di pace non può essere rimesso alla clemenza di Akp», ha denunciato annunciando la richiesta di formazione di una commissione parlamentare per riavviare i colloqui con il governo. Ma a raffreddare gli entusiasmi sono arrivate le dichiarazioni del vice premier. Yalcin Akdogan ha definito il leader in prigione del Pkk come «seppellito vivo». Per Akp, la condizione per riprendere i colloqui di pace include «l’abbandono completo della Turchia da parte del Pkk». Presupposto inaccettabile, mentre sono ripresi gli arresti di affiliati del Partito di Ocalan. Dopo i mille detenuti kurdi delle settimane precedenti al voto del primo novembre, 11 persone sono state tratte in arresto a Mardin, tra loro il sindaco del distretto di Mazidagi, Ali Ozkan, membro di Bdp (Hdp). In verità, la presenza in parlamento del partito filo-kurdo con 61 deputati nel lungo periodo obbligherà Akp e le autorità turche a riprendere in qualche forma il processo di pace, bloccato con la vittoria elettorale di Hdp dello scorso giugno, che ha fatto carta straccia della dichiarazione in dieci punti di Palazzo Dolmabahce, annunciata dal deputato Hdp, Surreya Onder. Non solo, la normalizzazione del partito filo-kurdo che ha abbandonato ogni legame con la lotta armata del Pkk e guarda a sinistra è una lezione essenziale anche per il Partito democratico del Kurdistan (Pdk) di Massud Barzani che sarà d’ora in avanti obbligato ad accettare che nel parlamento regionale iracheno segga la formazione di sinistra Goran. Questo sarà un monito anche per il Partito democratico unito (Pyd) in Rojava che potrà, nonostante gli attacchi turchi delle ultime settimane, andare avanti con il suo progetto di autonomia democratica. L’inclusione di Hdp nelle istituzioni turche servirà agli ayatollah iraniani per rivedere l’atteggiamento di completa cecità verso le richieste di autonomia e rispetto dei diritti delle province di Sanandaj e Kermanshah nel Kurdistan iraniano. Tuttavia, il ridimensionamento elettorale di Hdp (passato dal 13 al 10,4%) è sì conseguenza delle strategie machiavelliche di Erdogan e della tensione nel giorno in cui si è votato, ma anche della breve permanenza nel governo elettorale di Ahmet Davutoglu di due politici di Hdp che non è mai stata apprezzata dalla base elettorale del partito filo-kurdo (per lo stesso motivo i nazionalisti di Mhp hanno perso molti punti). Ora Erdogan sembra andare spedito nella sua politica di contrasto ai profughi siriani e di repressione della stampa. Di sicuro il pugno duro contro i rifugiati ha pagato nelle urne ed è servito ad accreditarsi in sede Ue tanto che la Turchia, nonostante la guerra Ankara-Pkk in corso, è stata battezzata paese sicuro. Questo atteggiamento non può che essere stigmatizzato da Hdp perché molti dei profughi sono di origine kurda. Sono 71 invece i giornalisti turchi del gruppo editoriale Koza Ipek, vicino a Fethullah Gulen, sheykh in esilio negli Usa, ad essere stati licenziati nei giorni scorsi. Un tribunale di Istanbul ha poi ordinato poi il sequestro della rivista anti-Erdogan, Nokta. I giudici hanno spiccato un mandato di arresto per il direttore, Cevheri Guven, e il caporedattore, Murat Capan, per «istigazione a delinquere» a causa di una copertina con una foto del presidente Erdogan con il titolo «Lunedì due novembre: l’inizio della guerra civile turca». In ultima analisi, la schiacciante vittoria elettorale degli islamisti moderati di Erdogan (49,3%), al prezzo della trasformazione dell’islamismo politico in nuovo kemalismo, e la conferma dell’ingresso in parlamento del partito filo-kurdo dimostrano che Akp e sinistra non possono fare a meno di riconoscersi e confrontarsi. Se non lo fanno sono destinati a scomparire, cancellati dalla guerra o dal ritorno dei militari. Fonte:Il Manifesto
Lascia un commento