Cizre, finisce a Montecitorio lo straziante dossier sul massacro nella città curda

Aggiornato il 03/05/18 at 04:39 pm


di Barbara Spinelli

Il 12 settembre una delegazione di 300 avvocati è riuscita ad accedere alla città curda che per otto giorni è rimasta assediata dall’esercito turco. Con loro c’era l’italiana Barbara Spinelli, che presto porterà il caso anche a Strasburgo. E che racconta: “Era l’inferno. Uccisi bambini e anziani” ……. Strade deserte a ogni ora del giorno. Feriti abbandonati a se stessi, coi paramedici che non si arrischiano a soccorrerli per sfuggire al tiro incrociato dei cecchini. Bambini costretti dalla disidratazione a bere l’acqua delle pozzanghere. Il leader curdo Selahattin Demirtas l’ha ribattezzata “la nostra Kobane”. Ma la Cizre che emerge dal resoconto di una delegazione di avvocati, tra i primi a entrare in città dopo otto giorni di assedio dell’esercito turco, somiglia quasi alla Sarajevo martoriata del 1993. Cizre è un agglomerato urbano di centomila anime nell’estremo sud-est turco a maggioranza curda. Circondata per tre quarti dal Tigri, da vent’anni la cittadina è uno dei fronti più caldi nel conflitto tra il governo e la minoranza curda di Turchia. ll 4 settembre scorso – nel pieno dell’offensiva lanciata a luglio dal presidente Erdogan – il governatore provinciale ha dichiarato in città lo stato d’emergenza. Per otto giorni il centro urbano è rimasto totalmente isolato dall’esterno, con le linee di comunicazione fuori uso e i militari a imporre un coprifuoco permanente. Nelle settimane precedenti, operazioni analoghe erano state lanciate anche in altri centri del sud est. Ma quando il 12 settembre l’assedio è stato allentato, la delegazione di 300 giuristi che da giorni tentava di aggirare il blocco si è trovata di fronte a uno spettacolo straziante.
Il loro rapporto parla di almeno 21 vittime tra i civili, in maggioranza bambini e anziani. Di feriti lasciati a morire nelle strade, perché soccorrerli avrebbe significato finire sotto il fuoco dei tiratori scelti. E dei segni onnipresenti di un’emergenza sanitaria, dovuta alla mancanza d’acqua e all’interruzione di ogni servizio igienico. Lo scorso venerdì, una copia del documento è arrivata anche sui banchi di Montecitorio. A consegnarlo è stata Barbara Spinelli dei Giuristi democratici, tra le prime persone ad entrare a Cizre: nelle prossime settimane porterà la relazione anche a Strasburgo, per chiedere al Consiglio d’Europa di prendere provvedimenti “contro uno stato membro che continua a violare ogni più elementare diritto umano” (la Turchia ha aderito al Consiglio nel 1949, ndr).
“Anche nelle ore diurne – si legge nel documento – i civili trovati a violare il coprifuoco, tra i quali anziani, bambini e disabili, sono stati colpiti dalle forze armate con un uso sproporzionato e ingiustificato della violenza, che nella maggior parte dei casi si è rivelata letale a causa del blocco di ogni tentativo di soccorso”. Secondo gli avvocati, negozi e abitazioni sarebbero stati “sistematicamente attaccati da tiratori scelti, elicotteri e panzer Kobra”, che avrebbero sparato ad altezza d’uomo “con l’intento di uccidere chiunque si trovasse al loro interno”.
Stando a quanto denunciato dai giuristi, dal 4 al 12 settembre ogni servizio essenziale – come acqua, cibo ed elettricità – sarebbe stato negato alla popolazione. L’esercito avrebbe messo fuori uso la rete idrica “danneggiando i tubi con armi esplosive, per ostacolare l’approvvigionamento d’acqua”. “I militari – aggiunge Spinelli – hanno sparato anche sulle cisterne in cui molti abitanti della zona conservano delle riserve idriche private. In questo modo, la popolazione si è presto trovata alla fame e alla sete, mentre le scorte alimentari marcivano a una temperatura che in quei giorni è arrivata a toccare i 40 gradi”. Per gli avvocati, la prolungata assenza d’acqua e l’interruzione dei servizi igienici avrebbero esposto la popolazione a un concreto rischio di epidemie. “Quando siamo entrati in città – continua Spinelli – si avvertiva ovunque un odore nauseante. Prima che la luce saltasse, non potendo portarli in obitorio, qualcuno aveva cercato di conservare resti dei propri familiari in freezer. Per giorni la spazzatura si è accumulata agli angoli delle strade; e le carcasse di alcuni animali colpiti dai proiettili erano ancora a decomporsi all’aperto”.
Secondo la versione ufficiale del governo turco, 32 militanti del Pkk sarebbero stati uccisi nel corso dell’operazione. E, come il premier Ahmet Davutoglu si è affrettato a specificare, “non un solo civile” sarebbe stato colpito. Ma le 45 pagine di relazione redatte dal gruppo dei giuristi raccontano una storia diversa. “Per le strade – continua Spinelli – mancava ogni indizio che potesse far pensare a uno scontro a fuoco. Tutto, invece, lascia supporre che l’uso della forza sia stato unilaterale. Il grosso delle vittime, inoltre, era composto da anziani, bambini e adolescenti; e non si capisce come questi potessero essere combattenti del Pkk”.
Ma non è tutto. Nella relazione, gli avvocati riferiscono di aver assistito alla continua esplosione di colpi d’arma da fuoco nel vicino villaggio di Idil, dove parte del gruppo ha trascorso la notte del 11 settembre. “A mezzanotte – racconta Spinelli nella relazione – nella città mancata l’elettricità, ed i vetri della casa in cui dormivo insieme a dei colleghi hanno preso a tremare. Si sentiva distintamente il rumore dei colpi. La famiglia che ci ospitava ci ha spiegato che questa è una costante, ormai. Come accadeva vent’anni fa, i militari cercano di convincerli ad abbandonare la zona, tenendoli sotto una costante pressione psicologica”. Nella Turchia sud orientale, l’evacuazione forzata dei villaggi curdi era una pratica molto in voga negli anni 90. Nella prima metà del decennio, l’esercitò ne ha bombardati a centinaia, spingendo due milioni di contadini a emigrare verso le città o fuori dai confini turchi. Tra il ’96 e il ’97, centinaia di loro sbarcarono anche sulle nostre coste, chiedendo asilo allo stato italiano. (ams)
Fonte:redattoresociale.it

 

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