Aggiornato il 03/05/18 at 04:39 pm
I raid aerei della coalizione internazionale contro lo Stato islamico (Is) guidata dagli Usa “non bastano”, ma per ora il governo iracheno non chiede l’invio di truppe di terra per far fronte ai jihadisti. Lo dice l’ambasciatore iracheno a Roma, ……. Saywan Barzani, in un’intervista ad Aki-Adnkronos International, in vista delle riunione del 2 giugno a Parigi tra i paesi della coalizione anti-Is.
I raid aerei, secondo l’ambasciatore, devono rientrare in un quadro di “sostegno continuo e rapido”, perché “due o tre raid sporadici non risolvono nulla”. Questa è la richiesta che l’Iraq porterà al vertice di Parigi, insieme a quella di “trovare una soluzione alla crisi in Siria”, a cui va data priorità assoluta. “La minaccia arriva soprattutto da lì – spiega l’ambasciatore – E’ la crisi siriana che ha generato il Daesh (acronimo arabo del sedicente Stato islamico, ndr), è quella crisi che destabilizza l’intera regione e mette a rischio anche i paesi occidentali”.
L’Is ha proclamato il suo califfato a cavallo tra Siria e Iraq 11 mesi fa. Ad agosto è stata creata una coalizione internazionale per fronteggiarlo, ma secondo il curdo Barzani, “finora non si è visto alcun risultato”. “Questi criminali sanguinari – ricorda – hanno preso Palmira in Siria, Ramadi in Iraq, hanno creato tre milioni di profughi interni in Iraq. Difendere fasce così ampie di territorio da bande di fanatici arrivati da 42 paesi del mondo non è facile per le nostre forze”.
Ecco perché dalla conferenza di Parigi l’Iraq si aspetta una svolta, “un sostegno vero, che deve essere politico, diplomatico e militare”. A proposito del sostegno militare, l’ambasciatore insiste sulla necessità di aiutare l’esercito nazionale e i Peshmerga curdi ad armarsi in modo adeguato e soprattutto di intensificare i raid aerei internazionali contro l’Is. “Per ora – spiega – il governo iracheno non pensa di chiedere l’invio di truppe internazionali di terra. Con il supporto di più raid aerei, pensa di potercela fare” a riconquistare le terre finite sotto il controllo dell’Is, soprattutto nella provincia dell’Anbar.
Sul piano geopolitico, secondo Barzani la questione è molto complessa, perché nella regione si combattono tante “guerre su procura”, in Siria come in Iraq, in Libia o in Yemen. “Gli Stati Uniti – argomenta – hanno scelto di avere un ruolo più defilato in Medio Oriente, lasciando campo libero a una miriade di attori. Oggi anche lo staterello più piccolo vuole affermare la sua presenza, è capace di portare la guerra in altri paesi per perseguire suoi interessi, che spesso si fa anche fatica a capire quali siano. Assistiamo a un paese che arma un gruppo e a un altro che finanzia il gruppo avverso”.
In questo senso, la crisi in Siria “non è solo siriana e non può essere solo siriana la sua soluzione”. E lo stesso vale per l’Iraq o la Libia. Ecco quindi quale sarà la terza richiesta dell’Iraq alla conferenza di Parigi: “Bisogna – dice l’ambasciatore – fare pressione su quei paesi che armano, addestrano, finanziano con fiumi di dollari, indottrinano o lasciano transitare sul loro territorio i jihadisti del Daesh”.
Infine, la quarta richiesta di Baghdad alla coalizione riguarda il piano umanitario e in particolare i profughi. “C’è bisogno di più sostegno per questa emergenza gravissima”, dice l’ambasciatore, invocando anche un “aiuto dell’Italia” a portare avanti questa richiesta a Parigi. Come hanno denunciato molte organizzazioni internazionali, una grossa fetta dei fondi promessi dalla comunità internazionale non sono stati versati.
“Il Kurdistan – spiega Barzani – vive una situazione insostenibile. Ha una popolazione di 5,6 milioni di persone, che dopo l’arrivo delle popolazioni in fuga dai territori conquistati dal Daesh è arrivata a oltre 10 milioni”. La regione autonoma è quella che ospita più profughi interni, “perché è la più stabile e sicura del paese, ma molte migliaia di persone si sono dirette anche verso Baghdad e altre grandi città”.
“Solo due giorni fa – racconta Barzani – 14.000 nuovi profughi sono arrivati a Erbil da Ramadi. Formalmente il Kurdistan ha deciso di non prendere nuovi profughi, ma certo non può lasciare le porte chiuse quando arriva gente che rischia la vita”. La situazione, a suo giudizio, è destinata ad aggravarsi. “Si calcola – spiega – che se partirà l’operazione dell’esercito per liberare Mosul arriveranno in Kurdistan altri 500.000 nuovi profughi”.
Fonte:Adnkronos
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