27 curdi prigionieri in Iran in sciopero della fame. Ma è la minoranza ad essere calpestata

Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm


di Shorsh Surme

Mentre la stampa di tutto il mondo è concentrata sul negoziato sulla questione nucleare Iraniana, 27 prigionieri politici curdi continuano lo sciopero della fame presso il carcere di Urmia, in cui sono detenuti; protestano sia per la loro precarie condizioni sia per essere alloggiati nello stesso braccio dei criminali…….. Le informazioni giunte dal carcere e diffuse della TV satellitare curda Newroz, rivelano che i servizi segreti iraniani hanno minacciato ripetutamente i prigionieri in sciopero con lo spauracchio dell’esecuzione o di essere dispersi in altre prigioni nel sud dell’Iran, ma i prigionieri politici hanno deciso di continuare la loro protesta fino a quando non verranno soddisfatte le loro richieste.
Nel frattempo la salute dei prigionieri si è aggravata. Ali Reza Rasuli, che è uno dei 27 carcerati curdi, nonostante le sue condizioni di salute, continua a rifiutare di ricevere il trattamento sanitario.
Si sa che l’lran è un mosaico di popoli ed etnie, arabi, armeni, azeri, baluci, qashqai, ebrei e turkmeni e curdi, e quest’ultimo popolo non ha nessun diritto di usare la propria lingua e la propria cultura.
La lotta del popolo curdo in Iran risale agli inizi degli Anni Trenta. Il 22 gennaio 1946 i curdi in Azerbaigian proclamando la Repubblica curda di Mahabad, presieduta dal giudice Qazi Mohamed e sopravvissuta solo 9 mesi. Non era un’impresa scellerata o irrazionale: i curdi, nel tracciare i confini della loro Repubblica, ricalcavano, almeno nella parte iraniana, quelli omdocati dal Trattato di Sevres con la Turchia del 1920, che, dopo le numerose rivolte curde nei decenni precedenti, finalmente riconosceva al popolo curdo l’autodeterminazione e l’indipendenza.
Ma il trattato di Sevres fu tradito da quello di Losanna nel 1923. Proprio il 24 luglio del 1923 il Kurdistan fu diviso arbitrariamente tra quattro Stati: Iraq, Iran, Turchia e Siria. Khomeini, dopo il suo ritorno in Iran nel 1979 e la creazione della Repubblica Islamica, presto si rivelò più repressivo e ancora più feroce nei confronti delle minoranze del regno dello scià.
La nuova Costituzione della Repubblica islamica, approvata nel dicembre del 1979, conferì a Khomeini i poteri assoluti a vita come massima guida politico-religiosa. Il suo regime propugnò la diffusione dei principi del fondamentalismo islamico e sostenne la legittimità dell’azione terroristica. Lo scopo è eliminare qualsiasi influenza proveniente dal mondo occidentale e contemporaneamente ogni possibile opposizione interna ad un governo di tipo teocratico.
Infatti la prima uccisione eseguita è stata all’estero: riguardò il segretario del Partito democratico del Kurdistan dell’Iran (Pdki), Abdurrahman Qasmlu, a Vienna nel 1989. Nel 1990 fu eletto Sadegh Sharafkandi come successore di Qasmlu, ma anche lui fu assassinato a Berlino il 17 settembre 1992.
In Iran ci sono 9 milioni di curdi, a cui il nuovo presidente Hassan Rohani, durante la sua campagna elettorale aveva promesso di dare una maggiore autonomia e libertà. Tuttavia la popolazione curda è consapevole che, al di là delle considerazioni di tipo politico, ciò che emerge in maniera preponderante è l’articolato apparato governativo del paese mediorientale, in cui il potere effettivo rimane saldo nelle mani del clero, in primis nella mani dell’ayatollah Ali Khamenei. Dopo la rivoluzione islamica del 1979, infatti, l’Iran è una teocrazia islamico sciita, le cui strutture sono piuttosto complesse.

 

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