Aggiornato il 03/05/18 at 04:40 pm
di Shorsh Surme
Il 9 aprile di undici anni fa le truppe dell’operazione Iraqi Freedom entravano a Baghdad e si dirigevano verso la piazza al-Firdaus, una delle più imponenti piazze di Baghdad, dove era eretto…… una enorme statua, alta 12 metri, del dittatore Saddam Hussein -la statua che fu, poi, abbattuta in diretta mondiale.
Una data, quel 9 aprile, che ha segnato la fine di un’epoca di massacri e genocidi -malgrado i non trascurabili risvolti. I popoli dell’Iraq, oggi -autobombe e kamikaze permettendo- festeggiano questa giornata come la giornata di liberazione di un Paese governato per ben 36 anni da un regime dittatoriale e autoritario come quello di Saddam Hussein. Certo che non si può nascondere quello che sta succedendo tra gli arabi sciiti e gli arabi sunniti.
Questo Paese è martoriato da profonde rivalità tra le due principali confessioni dell’Islam sin dalla nascita dell’Islam stesso. Lo scisma si verificò subito dopo la morte di Maometto, nel 632 dopo Cristo. Gli sciiti riconoscevano, infatti, come legittimo successore di Maometto il cugino e genero Alì, che aveva sposato la figlia del profeta, Fatima.
Subito dopo la morte di Maometto, la nascente islam cominciò ad essere governata dai Califfi. I primi tre furono Abu Bakr Sediq (632-634), Omar Ibn Al-Khattab (634-644), Othman Ibn Affan (644-656) e il quarto Califfo fu proprio Alì (Alì Ibn Abi Talib), per cui gli sciiti considerano i primi tre degli usurpatori.
Da quel momento, gli sciiti non riconobbero la lunga serie dei Califfi sunniti (dinastie Ommayade, Abbaside), ma riconobbero la dinastia dei Fatimidi (discendenti di Fatima, figlia del Profeta) e preferirono chiamare Imam i loro Califfi, quindi, questo conflitto non è né di oggi nè di ieri, ma risale, come abbiamo detto, a molto tempo fa, e nessuna delle due comunità ha cercato di risolvere il problema dalla radice, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo islamico.
Questa divisione, più per ragioni politiche di controllo del potere, che per ragioni ideologiche, si sta realizzando concretamente in diversi Paesi del Medio Oriente, compreso l’Iraq. In quest’ultimo, la situazione è più complicata, dove una minoranza sunnita (di cui faceva parte il partito ba’ath capeggiato da Saddam) ha regnato sull’intero Paese per trentasei anni ed ha sistematicamente represso la opposizione sciita, specialmente nel sud dell’Iraq.
Purtroppo la storia si sta ripetendo, il Primo Ministro Nuri al-Maliki, che è al potere del maggio 2006, ha gradualmente escluso qualsiasi leadership sunnita dal suo Governo, tentando di emarginare gli avversari con l’uso di leggi antiterrorismo, definendo qualsiasi forma di opposizione un’insurrezione settaria, e trovando, dunque, una giustificazione per misure di sicurezza sempre più stringenti.
Alcuni giorni fa, l’inviato delle Nazioni Unite in Iraq ha detto che circa 400.000 persone sono state sfollate nel 2013, con la violenza, nella Provincia di Anbar (il triangolo sunnita), e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso ‘grave preoccupazione’ per recenti avvenimenti, in particolare a Ramadi e Falluja. L’inviato, Nickolay Mladenov, ha anche avvertito il Consiglio che, senza ulteriori finanziamenti, le Nazioni Unite saranno presto non più in grado di fornire un aiuto agli iracheni in fuga dalla città di Anbar.
Il Premier sciita Nuri al Maliki, non solo non è riuscito a stabilizzare e a fermare le violenze settarie nel Paese, ma è stato accusato di fomentarle per assicurare la posizione del suo partito al potere, e non solo, ha bloccato lo stipendio dei dipendenti pubblici nella regione federale del Kurdistan nei mesi di gennaio e febbraio del 2014.
Infatti, come previsto della Costituzione, la regione del Kurdistan dovrebbe ricevere del Governo centrale di Baghdad il 17% del budget (20 mila miliardi di dinari, circa 17 miliardi di dollari), ma il Governo di Maliki non è intenzionato a ottemperare al proprio dovere così ha messo in crisi intere famiglie, in quanto la loro unica entrata è lo stipendio.
Al Maliki diventò il Primo Ministro nel 2006, nominato direttamente dal Presidente della Repubblica Federale Irachena, il curdo Jalāl Tālabānī, dopo la rimozione dell’ex Primo Ministro Ibrāhīm al-Jaʿfarī. Da allora, la situazione non è mai tornata del tutto calma. Anzi, dopo il ritiro totale dell’esercito Usa, avvenuto due anni fa, non passa giorno senza che vi siano autobombe e vittime.
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