Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm
di Umberto De Giovannangeli
Dalla Conferenza sulla Siria ai rapporti con l’Iran, fino alla ferita inferta dal Datagate nei rapporti tra gli Usa e gli alleati europei. I dossier più caldi della diplomazia internazionale rivisitati in questa intervista a l’Unità da Lapo Pistelli, vice ministro degli Esteri con delega sull’Iran. ………. L’opposizione siriana è chiamata nei prossimi giorni a decidere sulla sua partecipazione alla Conferenza di Ginevra2. Siamo a un passaggio cruciale per la diplomazia?
«La Conferenza di Ginevra 2 non ha molti amici. Non direi proprio che c’è la fila di quelli che vogliono partecipare o che intendono dare una mano per la sua riuscita. Le due parti in conflitto – ma forse faremmo meglio a dire tre, visto la galassia jihadista che intende dirottare l’intero processo e che ha definito un tradimento partecipare a Ginevra2 – sono nella fase di chi alza l’asticella delle precondizioni: altri attori regionali nicchiano, attendono l’esito del rapporto fra Mosca e Washington».
E la situazione siriana?
«Nel frattempo i siriani continuano a morire. La Coalizione nazionale siriana (Cns) che abbiamo incontrato a Londra martedì scorso, chiede anzitutto un’iniziativa in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per aprire prima della Conferenza corridoi umanitari: non è per loro sopportabile vedere viaggiare abbastanza liberamente gli ispettori Onu che verificano i depositi chimici, mentre i convogli con acqua e cibo sono bloccati, e in alcuni quartieri sotto assedio si comincia a morire di fame. La Cns ha bisogno di mostrare al suo popolo il raggiungimento di alcuni risultati concreti. Dunque, in questa fase del negoziato, che la Conferenza si tenga non è affatto scontato».
Bashar al-Assad ha affermato di essere pronto a ricandidarsi.
«È una vera e propria provocazione. È evidente che l’obiettivo di Ginevra 2, è fra gli altri, quello di dare vita a un governo di transizione che, per definizione, superi l’esperienza di Assad. È presto per dire chi possa rappresentare il regime a Ginevra, ma è chiaro che la Siria di Assad non c’è più. Con quell’annuncio, Bashar lasciava intendere che nelle more della diplomazia, il tempo potrebbe trascorrere fino alle elezioni di metà 2014, come se non ci fossero guerre in corso. Questa pretesa da “business as usual” è inaccettabile per chiunque. Detto ciò, il governo rappresentativo e legittimo per i siriani sarà ovviamente deciso da una consultazione democratica e internazionalmente vigilata, alla fine di una transizione. Ma un periodo cuscinetto è indispensabile senza Assad, dunque, per creare le condizioni di un dialogo nel Paese».
Un punto cruciale per Ginevra 2 è la partecipazione dell’Iran. Per l’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, la presenza di Teheran è “scontata” ed è “necessaria”. E per l’Italia?
«Il formato di Ginevra 2 è ancora da definire, ma vedo nelle parole di Brahimi una semplice espressione di consenso. Con quelli di cui si è amici, si va a cena e magari in vacanza, ma a cosa servono le conferenze di pace se non a comporre punti di vista e interessi distanti o radicalmente in contrasto tra loro? Troverei sterile un esercizio sulla Siria post -Assad che non coinvolgesse anche l’Iran».
Oltre che “sponsorizzare” Ginevra 2, l’Italia intende sedere al tavolo negoziale ginevrino?
«Stiamo lavorando da mesi con impegno, sia sul piano politico che facendoci concretamente carico sul piano umanitario delle conseguenze regionali del conflitto, in Libano, in Giordania, in Kurdistan e anche all’interno della Siria, senza mai dimenticare il ruolo di Unifil nel Sud Libano. Tra il vertice di Kuwait City e il G20 di San Pietroburgo, l’Italia si è impegnata per circa 60 milioni di euro, cifra non banale in questi tempi di crisi. Tutto questo lavoro mi pare assai apprezzato dai siriani, dagli arabi della regione, dagli europei e dai due protagonisti, russo e americani. Non vedrei dunque niente di regalato se fossimo presenti a quel tavolo offrendo il nostro contributo disinteressato alla stabilizzazione della regione».
Va ricercata la fiducia tra partner. Nel suo recente viaggio a New York, il premier italiano, Enrico Letta, ha ricevuto il sostegno del presidente Usa, Barack Obama. Ma nei rapporti tra Usa ed Europa, è calato come una scure il “Datagate”.
«A mio avviso, questa questione imbarazza anzitutto gli americani. Il Datagate o l’Nsagate che dir si voglia, pone domande cruciali e scomode sul rapporto fra potere, democrazia, rispetto degli alleati e i diritti individuali inalienabili, come quello alla riservatezza. Una vicenda da non liquidare con una battuta, un’alzata di spalle, o con la cinica constatazione che così va il mondo. Fra alleati non funziona, non deve funzionare così. Per questo mi attenderei parole e gesti all’altezza delle ferite inferte. Per queste ragioni ha fatto bene il presidente del Consiglio a dichiarare che il nostro Paese esige che sia fatta presto piena luce su tempi, vastità, utilizzo delle conversazioni ascoltate».
Fonte l’Unità
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