Aggiornato il 03/05/18 at 04:32 pm
di Giorgia Grifoni
Tra previsioni incerte e scenari apocalittici, nella regione c’è una parte della popolazione che è sicura di una cosa: “Il primo razzo lanciato sulla Siria sarà la fine dei Cristiani in questo paese. Verranno massacrati oppure…… deportati”. Siamo in un monastero cristiano del Monte Libano, a 20 chilometri da Beirut, quel paese dei Cedri in cui a lungo i cristiani – prima la sua chiesa maronita, poi i suoi partiti politici – hanno desiderato, chiesto alla Francia e infine tentato di prendere con le armi una nazione tutta per loro.
A parlare è uno dei vescovi invitati per una riunione di emergenza sulla guerra siriana e le implicazioni che un attacco porterebbe con sé. Erano presenti i rappresentanti delle 11 confessioni cristiane del Libano e un nugolo di intellettuali e politici. La conquista di Maaloula – il villaggio siriano custode della lingua di Gesù a 50 chilometri da Damasco – da parte dei ribelli sarebbe avvenuta di lì a due giorni. Ma c’era già il lento esodo degli egiziani copti, fuggiti da un Egitto che brucia le loro chiese, devasta le loro case e sgozza i tassisti per il semplice fatto di aver appeso un crocifisso allo specchietto retrovisore. Soli o con le famiglie, premevano sulle coste italiane o si accampavano negli aeroporti chiedendo asilo politico, pochi giorni dopo gli scontri che avevano schiacciato le proteste dei Fratelli Musulmani e incattivito una parte di essi. Ora il pericolo è sempre più reale, sempre più vicino. E non si sa bene come affrontarlo.
Le posizioni dei vescovi sono chiare e compatte: le ha raccontate un reportage del portale al-Monitor. Una delle prime parole che spunta fuori è Iraq. “Gli americani sono entrati in Iraq – spiega un altro vescovo – con il pretesto di rovesciare Saddam Hussein e stabilire la democrazia. Ora, l’intervento ha condotto al caos assoluto, all’emergenza dell’organizzazione terroristica “Stato islamico di Iraq” vicina ad al-Qaeda, massacri infiniti tra sunniti e sciiti. E la fuga quasi totale dei cristiani dell’Iraq”. Solo nei primi cinque anni dall’intervento americano, di circa 800 mila cristiani iracheni sono rimasti la metà. Molti altri sono andati via negli ultimi cinque anni, trasferendosi nel Kurdistan iracheno: a Erbil, ad esempio, si è passati da 8 mila a 35 mila residenti di fede cristiana.
Le risposte dall’Europa, il porto sicuro del Cristianesimo, però non arrivano. Un terzo vescovo racconta di aver guidato, d’accordo con alcuni circoli del Vaticano, una delegazione di prelati siriani e libanesi attraverso l’Europa, per incontrare i vertici della Nato e dell’Unione Europea. “Nessuno sembra aver capito la portata della nostra tragedia. Le minacce dei jihadisti, al-Qaeda, Jabhat al-Nusra: la soluzione a tutto questo sembra la nostra partenza per l’occidente”. Piovono critiche alle politiche dei paesi occidentali nei confronti dei cristiani orientali: “Alcuni funzionari europei – dichiara un vescovo – ci hanno detto che la recente esperienza tedesca è incoraggiante. Berlino ha aperto le porte a circa 5 mila profughi siriani cristiani. Presto verranno prese altre iniziative di questo tipo da paesi come Austria, Danimarca e altri ancora”.
Come fare a spostare un gruppo di 2 milioni di individui è un mistero. Certo è che non ci andranno di mezzo solo i siriani, toccati direttamente dagli scontri, ma anche i loro vicini libanesi. Nonostante siano protetti dalla Costituzione, che garantisce la ripartizione dei seggi a seconda delle proporzioni demografiche, il libanesi cristiani temono di trovarsi nel mezzo di un ennesimo conflitto che minaccerà di farli scomparire. Ci ha già pensato la guerra civile del 1975-1990 a ridurne il numero. E la guerra siriana bussa continuamente alle porte del Paese dei Cedri. Con un tasso di natalità troppo basso rispetto ai compatrioti musulmani, i potenti cristiani maroniti stanno passando da setta maggioritaria (secondo l’unico censimento avvenuto nel 1932) a minoranza.
I cristiani siriani, cui il regime degli Assad aveva garantito libertà e protezione, credevano di subire di meno i contraccolpi della guerra civile. Lo ricorda anche Manuela Borraccino, giornalista e autrice di un libro che ripercorre la Primavera araba dal punto di vista dei cristiani: “In Siria c’è una tradizione secolare di convivenza tra religioni che eviterà il massacro avvenuto dopo la caduta di Saddam Hussein”. Dato che gli attori del conflitto siriano sembrano ben lontani da essere i “vicini di casa” conosciuti e viste le poche notizie trapelate da Maaloula in questi giorni – persone sgozzate al grido di “Allah Akbar” e deportazioni della popolazione – sembra che la previsione non sia molto azzeccata.
Fonte: Nena News
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