Aggiornato il 03/05/18 at 04:33 pm
Jeremy Salt insegna Storia e Politica del Medio Oriente alla Bilkent University di Ankara. La sua opera più nota è «The Unmaking of Middle East», una ricostruzione degli ultimi cento anni di storia….. mediorientale al di fuori dei cliché «orientalistici». Dal suo osservatorio turco, è la persona adatta a parlare del terremoto geopolitico che potrebbe provocare l’emergere di un Kurdistan indipendente.
Per combattere i ribelli, Assad ha abbandonato il Nord della Siria ai guerriglieri curdi: questa mossa può diventare un casus belli con la Turchia?
«Dire che Assad abbia lasciato mano libera ai curdi è un’esagerazione. Piuttosto, nel disordine in cui è precipitato il paese, non ha potuto impedire loro di prendersi una parte dei territori a ridosso del confine turco. Certo non ha voluto aprire un fronte con i curdi mentre era impegnato a combattere gli insorti armati. Che questo diventi un casus belli dipende da come il governo turco interpreterà la situazione. I turchi sono allarmati dalla possibilità di una enclave curda nel Nord della Siria, che potrebbe rinfocolare la prospettiva di un “Grande Kurdistan”. Complicazioni che avrebbero dovuto essere valutate più di un anno fa, quando si decise di rompere con Damasco ma apparentemente nessuno ci ha pensato».
Ankara ha scelto di avere rapporti diretti con la regione autonoma curda irachena, scavalcando Baghdad che per questo ha minacciato la rottura delle relazioni: qual è secondo lei l’obiettivo della diplomazia turca nell’area?
«È molto difficile oggi leggere la diplomazia turca. Se guardiamo alla politica turca fino all’inizio del 2012 possiamo concludere che il “soft power” e il principio “zero problemi con i vicini” hanno funzionato. La Turchia aveva un rapporto solido e costruttivo con i suoi confinanti orientali. Un risultato completamente rovesciato dall’odierno sostegno al cambio di regime in Siria. Washington e gli Stati del Golfo potranno essere riconoscenti ad Ankara per il ruolo cruciale contro il governo siriano ma il prezzo pagato è stato molto alto. A parte la rottura con Damasco, i rapporti con l’Iran e l’Iraq sono compromessi e anche le relazioni con Mosca sono state danneggiate».
C’è l’indipendenza nell’agenda del presidente della regione curda irachena Barzani?
«Il governatorato curdo dell’Iraq è già indipendente in tutto fuorché nel nome. Ha un forte esercito (ufficialmente è una forza di sicurezza) e sempre di più le sue scelte ignorano le direttive e le richieste di Baghdad. Una dichiarazione d’indipendenza è probabilmente solo questione di tempo, si sta aspettando il momento più opportuno».
Sembra di essere tornati allo «smembramento» dell’Impero Ottomano dell’inizio del XX secolo, le sembra corretto il parallelo?
«Ciò che stiamo osservando, al di là dell’immediatezza delle scene di orrore in Siria, è il più ampio tentativo di ridisegnare il Medio Oriente dalla fine della Prima Guerra mondiale. Il trattato Sykes-Picot del 1916 definì i parametri strategici del moderno Medio Oriente, ma per le potenze imperiali/post-imperiali e i loro alleati regionali quel modello non funziona più. Si sono succedute molte fasi ma finora lo Stato nazionale aveva retto alle pressioni. Il centro di attenzione è la cosiddetta Mezzaluna Fertile che comprende Iran, Siria, Israele-Palestina. Se l’“Occidente” varcherà la soglia, l’intera regione è destinata al collasso etnico-religioso. L’invasione dell’Iraq fu seguita dalla distruzione del paese come Stato unitario. La Costituzione scritta a Washington (buona parte delle Costituzioni irachena ed egiziana degli Anni Venti e Trenta fu scritta a Londra) ha trasformato uno Stato laico in uno Stato basato sull’appartenenza settario-religiosa. Nel 1918 le potenze imperiali divisero il Medio Oriente in modo da adattarlo ai loro interessi, adesso stanno ridisegnando le mappe. Cina e Russia sono perfettamente coscienti di ciò che sta accadendo ed è perciò che l’attuale situazione può essere vista come l’estensione nel XXI secolo della “questione orientale” o “il grande gioco” tra Russia e Gran Bretagna. Certamente dalla lotta per la Siria uscirà la forma futura del Medio Oriente per un lungo tempo a venire. Comunque si considerino, gli attori locali sono soltanto pedine in questo gioco».
Fonte:La Stampa
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