Questione curda tra Siria e Turchia

Aggiornato il 03/05/18 at 04:33 pm


Opinione del Prof.Giuseppe Didonna *

Il professor Giuseppe Didonna, studioso e profondo conoscitore della situazione geopolitica dell’area ha scritto per Il Journal questa analisi sulla sempre più critica situazione nella zona……. Gli eventi verificatisi nell’ultimo anno al confine tra Siria e Turchia, hanno rappresentato una chiave di lettura per comprendere in che misura, la rivolta in Siria, abbia scombinato l’ equilibrio geopolitico regionale.
L’arrivo dei primi profughi nella provincia dell’Hatay nel Giugno dello scorso anno,rappresentò l’inizio di un flusso gradualmente divenuto continuo, per poi finire col diventare osmotico negli ultimi tre mesi, con civili in fuga verso la Turchia ed oppositori che sempre più numerosi, decidono di tornare i patria armati ed addestrati a combattere il regime.
A distanza di un anno,mentre il mondo segue con trepidazione gli eventi di Damasco ed Aleppo, Assad decide di ritirare le truppe di stanza nella regione di confine con la Turchia. Vengono naturali due considerazioni. In primo luogo il regime alle strette necessita di tutti i suoi uomini per non perdere il controllo delle grandi città. In secondo luogo la Turchia avrebbe dovuto gioire di tale decisione, considerato il notevole allentamento della tensione che ne sarebbe derivato ai propri confini.
Di contro la tensione ad Ankara è aumentata perchè l’area abbandonata dalle truppe lealiste coincide con la regione curda della Siria, ed il timore è che il Pkk (partito curdo dei lavoratori) possa avere gioco facile nel controllo dell’area ed intensificare il volume degli scontri. Stiamo parlando di un conflitto che in Turchia, dal 1978 ad oggi, ha visto morire 40.000 persone, e la cui ciclicità è legata a doppio filo ai cambiamenti politici che coinvolgono i confini con l’Iraq e la Siria.
Fino a due mesi fa i curdi siriani apparivano disuniti, con il PYD (Partito di Unione Democratica), frangia legata al PKK, dalla parte di Assad, ed una dozzina di gruppi politici minori a far fronte comune contro l’attuale presidente. Ciò che ha mandato in crisi Ankara è stata la firma di un trattato che ha messo da parte le rivalità tra questi gruppi, sancendo delle linee di gestione e controllo delle città del nord est siriano abbandonate dai lealisti. Teatro dell’accordo è stata la città di Erbil, capitale del Kurdistan Iracheno nato dalle ceneri dell’era Saddam, per giungere alla quale il Presidente della regione Massud Barzani si è calato nelle vesti di garante e mediatore. E’probabile che l’accellerazione di tale trattativa sia stata stimolata dalla apparentemente imminente fine del regime e dalla necessità di Assad di radunare il maggior numero di truppe possibile per le battaglie di Damasco ed Aleppo.
Fatto sta che dopo la nascita di un Kurdistan federale in Iraq (2003), la prospettiva che la stessa cosa possa avvenire in Siria spaventa non poco Ankara, che guarda con preoccupazione alle aspettative che tali eventi potrebbero suscitare nei 15 milioni di curdi turchi. Immediate sono state le reazioni ed il dibattito scatenatosi in Turchia. Le Cassandre ipotizzano la nascita di una “Repubblica del PKK”, paventando il timore che nuovi “santuari” per l’addestramento di guerriglieri possano sorgere in Siria, così come sono sorti in Iraq nell’immediato post Saddam.
La reazione di Erdogan non si è fatta attendere, ed in una conferenza stampa, lo scorso mercoledi, alla domanda a proposito di una regione federale curda in Siria, ha risposto senza mezzi termini che “Se alla nascita di una tale entità politica dovesse seguire una ripresa o un aumento delle attività terroristiche, l’opzione militare da parte della Turchia sarebbe assolutamente un nostro diritto ”.
Il pensiero di Erdogan è chiaramente rivolto a quando, un anno fa, alla dura presa di posizione del suo governo nei confronti Assad, seguirono 4 mesi di attentati da parte del Pkk che fecero più di 50 morti tra militari e poliziotti. L’intensificarsi degli attacchi proveniva dalla frontiera siriana, e più volte Ankara è stata tentata di effettuare operazioni all’interno dei confini siriani, esattamente come avviene nella regione curda irachena. Il problema è che mentre il Pkk iracheno si muove e rifugia in alta montagna, il Pyd ed il Pkk siriano hanno le loro basi nei centri abitati del nord della Siria, dove un’operazione militare finirebbe col coinvolgere facilmente civili. Un eventuale intervento militare finirebbe poi per costituire il collante perfetto per riunificare le varie anime della frammentata politica curda,che lascerebbero da parte le divisioni per far fronte contro un nemico comune.
Ayse Tuğluk, parlamentare indipendente eletta nel collegio di Van, in un’intervista al quotidiano Taraf osserva che i timori di Ankara sono il risultato dell’infruttuosità delle politiche messe in atto dall’Akp nella regione. “Se il governo fosse andato incontro alle aspettative della regione con la concessione di un riconoscimento per la lingua curda, di un’adeguata rappresentanza parlamentare, una parziale amnistia per i condannati per reati politici ed un maggiore federalismo, avrebbe stoppato il problema all’interno del confine siriano.Ora invece teme il contagio.”
La questione si ripropone simile a quanto avvenuto nel 2003, all’indomani della caduta di Saddam in Iraq. Oggi come allora appare centrale la figura di Massud Barzani, il presidente del Kurdistan Iracheno. Negli ultimi 2 anni i rapporti con Ankara sono progressivamente migliorati, fino alla “concessione” a svolgere incursioni militari sconfinando (con un occhio allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio di Erbil). Un anno fa Barzani ha preso contro Assad la stessa posizione della Turchia, offrendo appoggio logistico alla componente curda dell’opposizione. Ora lo stesso Barzani si fa garante di un patto per il controllo dell’area, un accordo tra gruppi fino a poco tempo inamovibili su posizioni diverse e talmente frammentati da non essercene nessuno capace di prendere il sopravvento sugli altri.
Fermo restando che tutto dipende sempre da ciò che avverrà a Damasco ed Aleppo. Se l’accordo tiene ed un equilibrio si troverà, la politica turca dovrà rivedere le proprie politiche nei confronti dei 15 milioni di curdi all’interno dei propri confini. Al contrario, se dal confine siriano dovesse partire un’offensiva del Pkk, Ankara ha sicuramente tutti i mezzi, ed apparentemente tutte le intenzioni ad attuare un intervento militare immediato”.
*uno studioso Italiano che vive in Turchia
Fonte: Il Journal

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