Aggiornato il 03/05/18 at 04:33 pm
di Valeria Nicoletti
La Turchia non è tra quei paesi che più chiedono conto all’Iran dei suoi progetti nucleari. Un’analisi del Foreign Affairs, descrive le complesse relazioni tra Ankara e Teheran, soprattutto all’indomani della Primavera araba:….. dietro la facciata di amicizia, si nasconderebbero una diffidenza e una rivalità dalle radici antiche
ANKARA – Le relazioni ufficiali fra Ankara e Teheran possono essere definite apparentemente “buone”, ma fra l’Iran e la Turchia è ormai concorrenza aperta per l’egemonia sul mondo arabo-islamico, soprattutto dopo le rivoluzioni che hanno scosso l’intero Nord Africa e il Medio Oriente. E in un contesto di crescenti tensioni fra il mondo occidentale e l’Iran, è fondamentale sapere come si muoverà la Turchia.
Più volte Teheran ha avvisato di esser pronta a bloccare «ogni singola goccia di petrolio» in transito nello Stretto di Hormuz, se la sua sicurezza dovesse essere minacciata, secondo quanto riferito dal Jerusalem Post. Sempre sul giornale israeliano, si legge che un alto comandante delle forze navali dei Guardiani della Rivoluzione islamica avrebbe dichiarato che l’Iran aumenterà la propria presenza militare in acque internazionali.
Questa prova di forza da parte di Teheran va letta alla luce delle crescenti pressioni per il suo programma nucleare, con fonti occidentali ufficiali sempre più sicure dell’imminenza dell’atomica iraniana (che non esitano a riferire sulla stampa) e voci insistenti di un attacco non troppo remoto da parte di Israele. E va vista, in generale, nel contesto della lotta per il predominio dell’influenza nella regione, in cui l’evolversi della situazione in Siria, principale alleato dell’Iran, gioca un ruolo di certo non marginale.
L’avvertimento di Teheran arriva mentre dalla Siria giungono notizie allarmanti circa presunti movimenti di armi chimiche da parte del regime da usare contro i ribelli – tra l’empasse dell’Onu, i veti della Russia e le aperture condizionate dell’Iran, subito rispedite al mittente. La Turchia, protetta dalla sua alleanza con la Nato, non è tra quei paesi che più chiedono conto all’Iran dei suoi progetti nucleari, con il rischio di compromettere le relazioni di buon vicinato.
In un’analisi sul Foreign Affairs, F. Stephen Larrabee, esperto in materia di sicurezza europea di uno dei più influenti think tank americani, la Rand Corporation, descrive le complesse relazioni tra Ankara e Teheran, soprattutto all’indomani della Primavera araba. Dietro la facciata di amicizia, secondo Larrabee, si nasconderebbero infatti una diffidenza e una rivalità che hanno radici antiche.
Proprio le sollevazioni popolari dell’anno scorso in diversi paesi mediorientali hanno riacceso quelle divergenze, che ora si appuntano in particolare, oltre che sulla Siria, sul ruolo del secolarismo – difeso apertamente dal premier turco Recep Tayyip Erdogan durante le sue visite in Egitto e altrove per promuovere il ‘modello turco’ e accreditare la leadership del suo paese in una regione che chiede maggiore democrazia –, sulla difesa missilistica, sull’Iraq, sulla questione palestinese e su quella curda.
Il nodo principale di discordia è la Siria. La dura critica espressa da Ankara verso Bashar al-Assad e il suo appoggio ai ribelli non sono piaciuti ai leader iraniani, preoccupati che la caduta del presidente siriano possa isolare ancora di più Teheran e indebolire notevolmente le sue ambizioni nella regione. Le tensioni si sono aggravate con l’abbattimento di un aereo di combattimento turco da parte della Siria, dopo il quale Erdogan ha richiesto una riunione straordinaria della Nato per delineare una strategia comune.
E proprio alla Nato, nel settembre scorso, Ankara aveva dato il via libera per l’installazione di un nuovo sistema di difesa radar sul suo territorio, provocando le ire degli ayatollah. Nonostante le minacce, neanche troppo velate, dei vertici delle forze armate iraniane, che hanno invitato la Turchia a «riconsiderare i suoi interessi strategici di lungo periodo e a trarre insegnamento dalle brutte esperienze di altri paesi», Ankara non ha dato segno di voler fare retromarcia.
Nello stesso periodo Erdogan si è recato in visita nel Nord Africa. La sua difesa del secolarismo ha agitato i religiosi di Teheran, confermando il timore dell’Iran che il modello turco possa conquistare una fetta sempre più corposa di musulmani, decretando così la vittoria della Turchia sul piano politico-ideologico.
CHI DIFENDE MEGLIO I PALESTINESI – L’interventismo verbale di Erdogan, però, non si è limitato a questo. Il premier turco ha infatti battuto sul tempo l’Iran, facendosi paladino dei diritti palestinesi e ‘scippando’ di fatto questo argomento a Teheran. Nelle piazze arabe, la condanna dell’offensiva israeliana a Gaza, secondo Larrabee, ha aumentato notevolmente le quotazioni di Erdogan, visto ora come l’unico leader musulmano in grado di tenere testa a Israele e fare gli interessi degli islamici.
Anche l’Iraq è diventato un importante terreno di scontro tra i due paesi. Il ritiro delle forze Usa ha lasciato un vuoto di potere che l’Iran cerca di colmare, mentre la Turchia ha tutto l’interesse che l’Iraq sia un paese stabile, ricco e indipendente, non certo un satellite di Teheran e possibile trampolino di lancio dell’estremismo islamista. Tra l’altro, nell’ultimo anno le relazioni tra Erdogan e il premier iracheno Nouri al-Maliki, visto come l’uomo di Teheran in Iraq, si sono deteriorate. Al-Maliki starebbe infatti cercando di consolidare il proprio potere aumentando il predominio sciita e indebolendo sunniti e curdi. Secondo Ankara questo potrebbe aumentare il rischio di violenze settarie e di una frattura del paese, con cui i curdi conquisterebbero la piena indipendenza al nord.
I CURDI RESTANO UN PROBLEMA APERTO – La questione curda rimane una spina nel fianco del governo turco, specie ora che le comunità di Iran, Siria e Turchia vanno intensificando i contatti e cercano un orientamento comune. Le autorità di Ankara temono che l’Iran e la Siria possano dare sostegno diretto al Pkk (il Partito dei lavoratori del Kurdistan che opera in Turchia), come nei decenni scorsi, per indebolire il governo turco.
Le tensioni sono però anche di natura economica. L’Iran è il secondo fornitore di gas naturale della Turchia e le garantisce il 30% del fabbisogno di greggio. Ma in diverse occasioni ha interrotto le forniture per diverse settimane, creando non pochi disagi. Senza contare i ritardi e gli ostacoli creati agli esportatori turchi dai dazi e dalla burocrazia di una economia, quella iraniana, molto chiusa: anche per questo gli scambi con l’Iran si sono ridotti e la Turchia ha cominciato a cercare mercati più accessibili e affidabili, tagliando contemporaneamente del 20% l’acquisto di petrolio da Teheran.
Questo non significa che Ankara voglia aderire ufficialmente a una coalizione anti-iraniana, ma «la luna di miele tra la Turchia e l’Iran, se mai c’è stata, è ormai finita. «Nel prossimo decennio – conclude Larrabee –, la lotta tra le due potenze per il predominio nella regione potrebbe intensificarsi e rimodellare la politica del Medio Oriente».
Fonte:vostroquotidiano
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