Aggiornato il 03/05/18 at 04:34 pm
di Ferdinando Calda
Un’intera città sumera, rimasta sepolta nelle sabbie irachene per oltre cinquemila anni, è stata scoperta a pochi chilometri a sud di Nassiriya, nell’Iraq meridionale, da una squadra di archeologi italiani ed iracheni guidata dall’assirologo Franco D’Agostino dell’università di Roma La Sapienza……. La campagna di scavi vera e propria è cominciata solo quest’anno, ma il sito di Abu Tbeirah, meno di una ventina di chilometri a est dalla famosa città di Ur, ha già riservato numerose sorprese, tra le quali almeno cinque tombe, centinaia di ceramiche e diversi vasi e oggetti in bronzo. Una delle tombe è stata chiamata con un po’ di romanticismo “la tomba del Piccolo Principe”, dato che sembra appartenga a un bambino di circa un anno di età, sepolto con un ricco corredo: vasi di bronzo, di cui uno a forma di barca, un pugnale e un elemento di toeletta entrambi di bronzo, e tre perle di cornalina.
Gli archeologi ipotizzano che si tratti di un’importante città del III millennio a.C., risalente a un periodo a cavallo tra il periodo Protodinastico e la seguente epoca Accadica, all’incirca tra il 2.450 a.C. e il 2.350 a.C. L’importanza di Abu Tbeirah è confermata sia dalla sua estensione – con i suoi 42 ettari, nell’area è inferiore solo alla vicina Ur – sia dal ritrovamento di un sigillo cilindrico in conchiglia di pregevole fattura che raffigura la scena di un banchetto. La somiglianza di questi reperti con i ritrovamenti provenienti da Ur fanno supporre che si tratti di una delle sue principali città vassalle.
Una scoperta che ha un valore ancora maggiore se si pensa che è la prima campagna archeologica nel sud dell’Iraq affidata a una missione straniera dopo le Guerre del Golfo. Una missione che, nonostante la grande disponibilità delle autorità irachene, ha dovuto affrontare diverse peripezie per arrivare a questo risultato. Nel presentare la scoperta nel corso di una conferenza alla Sapienza, il professore D’Agostino non ha esitato a definire “critica” la situazione della sicurezza incontrata nella zona quando ha incominciato a lavorare al progetto.
Tutto ha inizio nel 2008, quando i fondi che il governo italiano stanziava per il contingente dei carabinieri presente nella regione cominciano ad essere dirottati verso la ricostruzione civile. In quell’occasione le autorità irachene chiedono di iniziare una campagna di scavi archeologici per dare un segnale forte di normalizzazione del Paese. Riscoprire i fasti del passato per dimostrare che c’è una speranza nel futuro.
Per individuare un sito adatto D’Agostino ricorre persino all’aiuto degli statunitensi, che gli mettono a disposizioni le immagini aeree della regione scattate da un drone. Quello che vede non è di buon auspicio: in molti siti sono ben visibili i buchi scavati dai “tombaroli” per saccheggiare i reperti. Umma in particolare sembra una groviera.
Alla fine, assieme agli archeologi iracheni si decise per il Tell di Abu Tbeirah, una vasta collina attraversata da ovest a est dalla traccia di un antico canale e da sud a nord dall’invaso di un gasdotto. I tell sono dei rilievi artificiali caratteristici del panorama pianeggiante della Mesopotamia, e sono indicativi della presenza di antichi insediamenti sommersi da terra e sabbia nel corso dei secoli. Prima dell’arrivo di D’Agostino e della sua squadra il sito di Abu Tbeirah non era mai stato indagato da nessuna missione archeologica. Alcune precedenti ricerche si erano fermate pochi chilometri più a ovest, verso Ur.
Le autorità culturali irachene si mettono subito a disposizione per procurare tutti i permessi alla missione italiana, anche perché nel frattempo una compagnia petrolifera ha espresso l’intenzione di compiere delle esplorazioni nella zona. E, secondo la legge irachena, un ritrovamento archeologico permette di bloccare qualsiasi azione del genere.
Tuttavia fin da subito gli italiani si accorgono che non si tratta di una “normale” missione. Non tanto per la scorta armata messa a disposizione dal governo, che in realtà si dimostrerà più un pro forma che altro. Piuttosto perché ancora prima degli antichi reperti di coccio o bronzo ad emergere sono più moderni frammenti di bombe. Inoltre le misurazioni Gps risultano falsate dalle schermature militari e per ottenere una stratigrafia del sito viene utilizzata una trincea per carri armati scavata dai soldati di Saddam Hussein.
Una volta sul posto la squadra italiana lavora incessantemente per 21 giorni. Ed è in questo breve periodo che riesce a portare alla luce le cinque tombe (la più ricca è ancora sepolta per metà), oltre ai resti di un forno per il pane e di un muro di mattoni. Centinaia di reperti trovati in meno di un mese di scavi. “È un sito molto ricco”, commenta Licia Romano, 28enne vice-direttore della missione, con uno sguardo allegro, a far intendere che le scoperte sono appena all’inizio.
Fonte:rinascinta
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